Economia e società tra '800 e '900

Il volume Artigianato e industria a Città di Castello fra Ottocento e Novecento ricostruisce la storia dei vari settori produttivi tifernati dai primi del XIX secolo fino all’inizio dell’industrializzazione della valle, avvenuta negli anni ’60 del Novecento.
L’opera si presta a diversi tipi di lettura. Da un lato si tratta della minuziosa ricostruzione della storia dei vari settori manifatturieri tifernati e di come si sono evoluti nei due secoli in questione: ora mantenendo una peculiare dimensione artigianale, ora riuscendo a elevarsi a dimensioni industriali, ora subendo la concorrenza di opifici forestieri con maggiori capitali e tecnologie più avanzate, ora dando vita a esperienze produttive innovative e longeve. Protagonisti dell’opera sono centinaia di operatori economici, gran parte dei quali tornano in vita proprio perché un’approfondita ricerca di archivio ha permesso di recuperare preziose tracce dell’attività anche delle più umili botteghe.
Nel contempo il volume si propone come uno studio scientifico, senza retorica né sentimentalismo, delle capacità e dei limiti di un artigianato che solo in minima parte è riuscito a sopravvivere al mutare dei tempi. Spesso la documentazioni scritta e le testimonianze orali hanno permesso di individuare con ricchezza di dettagli i procedimenti di lavorazione, le attrezzature usate, i rapporti con la committenza, le specifiche espressioni dialettali, i legami con i quartieri e con l’associazionismo cittadino. Anche per questo il libro offre utili opportunità come sussidio didattico.
Ma l’opera è tutt’altro che confinata in una dimensione locale. Ricostruisce la storia dell’economia tifernate, analizzando sia le caratteristiche fondamentalmente agricole mantenute dall’Alta Valle del Tevere fino agli ultimi anni ’60, sia le spinte all’emancipazione economica e sociale che a più riprese hanno preso corpo in ambito urbano, investendo poi anche la realtà rurale. Si può così vivere il secolare travaglio di Città di Castello, penalizzata dall’isolamento geografico e dall’emarginazione politica e culturale, ma mai ripiegata sulle sue sventure; una città spesso immiserita e apparentemente priva di prospettive, che però ha saputo dar vita alla principale industria tipografica, e poi poligrafica, dell’Umbria, che ha incanalato un altrimenti asfittico artigianato del legno verso la produzione di mobilio in stile apprezzato in tutta Italia, che ha trovato nella coltivazione del tabacco le risorse per cospicue iniziative industriali, che ha visto modeste botteghe di fabbri trasformarsi in importanti aziende metalmeccaniche, che ha prodotto prolungate e significative esperienze cooperative tra i lavoratori edili, i tipografi, i fabbri e i falegnami.
Una Città di Castello vitale, dunque, che proprio nel momento di maggiore depressione economica e sociale – all’inizio degli anni ’60, è riuscita a promuovere l’industrializzazione di un territorio ben più vasto di quello comunale; e ciò, in un’epoca ancora pervasa da laceranti contrapposizioni, è avvenuto in virtù di una straordinaria unità di intenti fra partiti politici, operatori economici e mondo del credito.