Verso l’intervento

I cattolici rimasero a lungo riluttanti all’intervento nel conflitto. Auspicarono l’accoglimento delle proposte austro-ungariche, che parevano “corrispondere in larga misura alle aspirazioni italiane”, e confidarono nel “senno” del governo italiano. Si accentuò invece la mobilitazione dei socialisti, con pubbliche manifestazioni di protesta a Città di Castello, Pistrino, Umbertide e Sansepolcro. L’on. Ugo Patrizi restò prudente, convinto dell’opportunità di trovare una soluzione diplomatica alla disputa internazionale; poi, quando parve chiaro l’orientamento governativo verso l’intervento, ritenne necessario mettere a tacere ogni ulteriore dissenso per sostenere lo sforzo bellico del Paese.

Il 22 maggio 1915 il giornale socialista “La Rivendicazione” non nascose un profondo pessimismo. E, consapevole che di lì a poco la censura gli avrebbe imposto il bavaglio, lanciò una acre invettiva contro gli interventisti: “Siamo alla fine… Mentre scriviamo si decidono forse le sorti della cosiddetta… patria. Un attimo, un tratto di penna, e poi tutto sarà travolto nel baratro tremendo della guerra ‘fascinatrice’. Maledetti! Maledetti!”

Ben diverso l’umore in campo interventista. La coalizione dei fautori della guerra uscì allo scoperto. Il gruppo di tifernati che stava dando vita al settimanale “Il Dovere” concordavano nell’attribuire una provvidenziale funzione catartica a una guerra che “doveva segnare l’inizio della interna liberazione italiana dall’intrigo parlamentare, dal macchinismo burocratico, dal settarismo dei partiti e delle clientele”, e “poteva in un fuoco purificatore travolgere le scorie della vita meschina di ieri e porre al posto dell’interesse individualmente egoista un’Idea umanamente altruista”.

La causa interventista stava trovando convinti aderenti tra i giovani altotiberini.