Gli interventisti e “Il Dovere”

A Città di Castello quanti avevano sostenuto la necessità dell’intervento si raccolsero nella redazione del settimanale “Il Dovere”, il cui primo numero uscì l’11 luglio 1915. Per alcuni mesi poté qualificarsi come bollettino del Comitato per l’Organizzazione Civile; poi la continua carica polemica contro chi veniva reputato poco patriota indusse a rendere autonomo il periodico e ad attribuirgli il sottotitolo di “organo dei combattenti per l’italianità”.

Anima della pubblicazione fu il sacerdote Enrico Giovagnoli, anche perché lo si stampava nella tipografia “Leonardo da Vinci”, di cui era direttore. Giovagnoli si stava imponendo come figura di spicco dell’ambiente culturale e tipografico. Il sostegno alla causa interventista ne faceva emergere il lato patriottico e nazionalista, che nei primi anni ’20 lo avrebbe portato ad aderire al fascismo.

Raramente gli articoli de “Il Dovere” venivano firmati. Tra i redattori de “Il Dovere” vi furono certamente Angelo Falchi, Adolfo Maioli, Gustavo Bioli e Giulio Pierangeli.

“Il Dovere” funse da dinamico raccordo settimanale tra la popolazione e il Comitato di Assistenza Civile finché ne fu il bollettino. Sia allora che in seguito stimolò la partecipazione popolare allo sforzo bellico, tenne desta la fiamma del patriottismo, fustigò quei ceti benestanti che non sostenevano le iniziative assistenziali con risorse adeguate alle loro ricchezze, montò la guardia contro i disfattisti e i “centri di infezione tedesca”, dette informazioni sui caduti e pubblicò sistematicamente testimonianze dei soldati dal fronte. Naturalmente la cospicua corrispondenza pubblicata veniva accuratamente selezionata per dare rilievo ai testi più funzionali ad eccitare il morale sia dei combattenti, sia dei civili. Ciò nonostante costituisce una preziosa fonte di informazioni sulle vicende belliche e sulla vita di trincea. Anche perché “Il Dovere” aveva un’ampia diffusione tra i militari altotiberini umbri: nel maggio 1916 contava tra di essi 396 abbonati, oltre ai 186 non militari.

Per quanto si fosse riproposto di non far politica e di voler elevare la vita cittadina oltre gli eccessi di partigianeria, il periodico rimase invischiato in modo aspro nelle diatribe locali, per le continue puntate polemiche contro i socialisti e, soprattutto, contro Ugo Patrizi. Più volte prese posizione contro gli opportunismi politici, gloriandosi “di essere estraneo alla politica parlamentare” e alla “meschinità suprema” dei suoi giuochi. Convinto che nei campi di battaglia stava maturando, “fra il sangue e il dolore”, il nuovo avvenire d’Italia, condannò senza appello la politica anteguerra e l’uomo che l’aveva maggiormente personificata, Giovanni Giolitti, “l’antico uomo nefasto”.

Nel resto dell’Alta Valle del Tevere non vi furono esperienze analoghe a quella del gruppo de “Il Dovere”. Se si dà credito alle cronache de “La Rivendicazione”, tanti fautori della guerra, raggiunto l’obbiettivo dell’intervento, si dedicarono a tutt’altro che al sostegno dello sforzo bellico. A Umbertide il giornale puntò il dito contro gli sfegatati interventisti ridottisi “a discutere al caffè o all’osteria, a combattere le meno cruenti battaglie col… cognac e col vino”; erano quasi tutti commercianti che stavano arricchendosi “spudoratamente” con la guerra. A Sansepolcro deplorò i “pusillanimi dell’‘armiamoci e partite’”, uomini che non si sentivano affatto in dovere di arruolarsi volontari dopo aver tanto propagandato per l’intervento.