Medaglia d’oro al valor militare di Gabriotti.
Stelio Pierangeli, comandante della Brigata "San Faustino", in una commemorazione di Gabriotti nel dopoguerra.

Reazioni alla morte di Gabriotti. Le prime onoranze

La morte violenta di Venanzio Gabriotti produsse in città una generale mestizia, insieme allo stupore per l’eccezionalità e imprevedibilità dell’evento. Emblematico quanto scrisse nel suo diario il parroco della frazione di San Secondo, don Silvio Palazzoli: “9 Maggio. Fin dalle prime ore si diffonde la notizia che sia stato fucilato il grande mutilato e superdecorato della guerra 1915-18 Venanzio Gabriotti. Cerco di illudere me stesso procurando di non credere, sul tardi purtroppo la notizia è confermata, quantunque priva ancora di particolari. L’impressione è grandissima, tutti rimpiangono quell’uomo che nonostante i suoi difetti era l’uomo che si prestava a tutto, i suoi stessi nemici ricorrevano a lui per consigli e favori”.
Il racconto dell’avv. Giulio Pierangeli rivela anche il turbamento e l’imbarazzo dell’ambiente fascista tifernate: “La ferale notizia si sparse in un attimo in città, e poi in campagna: tutti l’appresero con costernazione: fu quel giorno un giorno di profondo lutto cittadino. Al lutto mostrarono di partecipare gli stessi fascisti, resisi pieno conto della enormità di quanto era avvenuto e ansiosi di non assumerne la responsabilità: tutti volevano aver fatto l’impossibile per salvargli la vita”.
Tuttavia Pierangeli non esitò a individuare i colpevoli politici della fucilazione: “Sui punti oscuri della tragedia dovrà farsi ancora luce per precisare tutte le responsabilità del delitto, ma la responsabilità rimane intera a tutto il Fascismo repubblicano tifernate, perché nessuno degli aderenti ebbe il coraggio di rassegnare le dimissioni dal partito come protesta contro l’efferata esecuzione, cui si giunse in modo quasi tumultuario, senza salvare né le forme né la sostanza di un procedimento anche in tempo di guerra”.
In un frangente storico così travagliato si percepiva una inquietudine profonda, il timore che stessero incombendo ulteriori tragedie. In effetti gli oppositori del nazi-fascismo e le loro famiglie vissero momenti di panico e di terrore. Con la morte di Gabriotti e di Bologni, il Comitato Clandestino di Soccorso cessò di esistere. Cola Forconi fu arrestato e sottoposto a interrogatorio. Giuseppe Segreto e Donino Donini si nascosero presso degli amici. Andarono invece alla macchia, raggiungendo i partigiani tifernati nel Pietralunghese, Amedeo Mastriforti, Giovanni Taffini e Ivo Carletti.
Le ripercussioni della morte di Gabriotti furono strategicamente rilevanti per la Resistenza al nazi-fascismo. Venne meno l’apporto di colui che si stata adoperando per tessere rapporti più stretti di collaborazione tra le bande partigiane dell’Appennino umbro-marchigiano e di quello umbro-toscano. Uccidendolo, si era tolta di mezzo l’unica persona che per autorevolezza, esperienza di lotta e capacità di azione poteva dare un contributo decisivo a promuovere tale convergenza operativa. Nel giugno 1944 le formazioni partigiane ai due lati del Tevere riuscirono a sviluppare una efficace attività militare, senza però una visione strategica unitaria.
Il sogno democratico e patriottico di Gabriotti dell’abbattimento della dittatura fascista e della liberazione della sua terra dall’occupazione tedesca si sarebbe realizzato di lì a una decina di settimane. Dopo l’entrata a Città di Castello degli Alleati il 22 luglio e il ritorno in città dei partigiani si volle prontamente onorare la sua memoria. Del resto le stesse autorità britanniche ben sapevano chi fosse. Loro relazioni di intelligence ne parlavano in termini lusinghieri: un personaggio “sempre antifascista”; l’“unico uomo” ad aver svolto “grande attività nell’organizzare e aiutare le bande patriottiche dopo l’armistizio”, con una sfera di azione che abbracciò “diverse bande nelle Marche e nell’Umbria”.
Domenica 13 agosto i tifernati si raccolsero nel Palazzo Comunale per le onoranze funebri a Gabriotti e agli altri caduti tifernati per la riconquista della libertà. La calorosa manifestazione contribuì a saldare il legame tra una popolazione ancora prostrata dalla guerra, le autorità britanniche e gli esponenti cittadini e provinciali della rinascente democrazia. Ai reduci partigiani e ai famigliari dei caduti vennero distribuiti gli attestati di benemerenza rilasciati dal generale Alexander. Poi, davanti a “una folla immensa”, ebbe luogo l’intitolazione dell’antica “piazza di sotto” a Venanzio Gabriotti e lo scoprimento della lapide alla sua memoria sulla Torre Civica.
Qualche tempo dopo Giulio Pierangeli, che ben lo conobbe, così parlò di Gabriotti in un manoscritto preparatorio della sua prima biografia: “Venanzio Gabriotti non era un santo: era un uomo, e dell’uomo ebbe le virtù e i difetti; solo che egli, per la sua tempra eccezionale, esplicò le virtù in un grado eroico, e poté affrontare la morte con semplice serenità, sorretto dalla fervida fede religiosa e dalla certezza che agli ideali di libertà e di italianità, per i quali aveva combattuto fino a meritarne la condanna a morte, sorrideva la imminente Vittoria. Così, nella luce del martirio a noi, che pur lo conoscemmo uomo, la sua figura appare materiata solo di quelle virtù eroiche, e tale dovranno vederla le generazioni venture”.

Medaglia d’oro al valor militare alla memoria
assegnata nel 1953 a Venanzio Gabriotti

“Volontario di guerra, valoroso combattente della campagna 1915-1918, decorato di due medaglie d’argento, di due medaglie di bronzo e di una croce al Valor Militare, gravemente ferito e promosso per meriti di guerra. Cittadino ottimo, costantemente sollecito verso gli Ideali di Libertà e di Patria, subito dopo l’armistizio partecipava al movimento di liberazione attivamente adoperandosi come organizzatore e come animatore. Tratto in arresto e ripetutamente interrogato, manteneva esemplare contegno nulla rivelando ed affrontava, da soldato valoroso, la morte nel nome della Patria, che aveva sempre fedelmente servita”. Città di Castello 9 maggio 1944.

Il testo, che però non include le note, è tratto dal volume di Alvaro Tacchini “Gli ultimi giorni di Venanzio Gabriotti”, Istituto di Storia Politica e Sociale “V. Gabriotti”, Quaderno n. 14, 2018.