Le sommosse delle donne

Il rigetto della guerra, specie in campagna, era assai esteso e cresceva sempre più tra quella popolazione femminile sulla quale gravava il peso della sopravvivenza quotidiana. E il malcontento si diffondeva. Lo ammise “Il Dovere”: “Le donne del nostro contado van ripetendo che la guerra è stata fatta perché i signori hanno firmato per la guerra; esse traducono così in forma semplicistica ed assurda l’affermazione di una buona parte dei neutralisti ad oltranza, che […] parlano di guerra voluta dai signori, dai capitalisti, dalla borghesia… I contadini stessi in gran parte hanno accettato questa spiegazione molto semplice”.

Nel maggio 1916, le questioni del caroviveri e della guerra si miscelarono in una rabbiosa protesta di donne del territorio di San Giustino.

Nella primavera del 1917 le donne tornarono protagoniste di dimostrazioni di protesta. I fatti più gravi avvennero di nuovo a San Giustino.

[Per gli eventi di San Giustino, si veda la specifica sottosezione ad essi dedicata nel sito].

Quattro giorni dopo i fatti di San Giustino, furono le donne di Città di Castello a far scendere in piazza contro la guerra. Le vide manifestare don Angelo Ascani, allora giovanissimo. La sua testimonianza, per quanto condizionata da un pregiudizio conservatore, è preziosa: “Le notizie deludenti dei fatti d’armi di quel guerrone in corso; le idee catastrofiche strombazzate dall’incosciente propaganda di gente senza fede e fiducia nazionale, avevano avvelenato l’animo della popolazione eccitandola fino alla frenesia della rivoluzione. Ricordo come oggi lo stormo di donne inviperite ammassarsi a Castello sulla porta San Giacomo, gridare incomposte e blasfeme, lanciare sassi contro i vetri e le porte delle famiglie cittadine. E passò quella fiumana di gente, venuta di buon mattino a fare simile canèa, indisciplinata, furente”.

Due altre testimoni hanno raccontato quell’evento. Zola Gabriotti ricordava il corteo di donne che gridava “arvolémo i nostri ómini!” e i carabinieri che ne fermarono un paio e poi convocarono in caserma suo padre Luigi e Aspromonte Bucchi – dirigenti socialisti – pensando che avessero fomentato la protesta. L’altra testimonianza è di Suntina Petricci: “Quando venne il terremoto del 1917 c’era lo sciopero delle donne che chiedevano il ritorno dei loro uomini a casa, per la grande miseria. Vennero i carabinieri a cavallo per tenere ferma la gente. Erano diventate un po’ cattive quelle donne; erano rimaste sole a casa e non c’era nessun maschio che lavorava. […] Quelle donne avevano ragione. Era due anni che durava la guerra e i figlioli morivano di fame: accidenti alla guerra ancora!”.

I ricordi di Ascani, Gabriotti e Petricci non potevano non associare quella manifestazione all’evento drammatico che sconvolse la valle la mattina del 26 aprile 1917. Le violenti scosse sismiche che si succedettero tra le 11 e le 11,35, seminarono il panico e posero fine a quella protesta.

Eppure l’inquietudine e l’indignazione delle donne rimasero acute. “Il Dovere”, sensibile termometro dell’atteggiamento popolare verso la guerra, non lo nascose. Nell’estate del 1917, prima polemizzò contro Ugo Patrizi, che in un incontro con i contadini di Trestina aveva additato al “furore femmineo” i suoi redattori come guerrafondai; poi confutò che la colpa del conflitto fosse degli italiani: “Quante volte avrete sentito ripetere dalle donne del nostro popolo energiche imprecazioni contro quelli che hanno voluto la guerra […]. Queste donne del popolo credono che ci sia stato in Italia un gruppo di persone che abbia di sua volontà imposto la guerra”.