Per permettere ai soldati di consumare un pasto caldo anche in difficili condizioni climatiche e tra i disagi della trincea, tornò utile un semplice quanto efficace strumento come lo scaldarancio. Era una specie di torcia prodotta con carta imbevuta di grasso e di cera, o di paraffina, che riusciva ad ardere per circa un quarto d’ora e così riscaldava la gavetta con il cibo. Per la confezione bastavano dunque una provvista di vecchi giornali, un modesto locale operativo e, soprattutto, l’impegno di volontari disposti a dedicare ore di lavoro.
Particolarmente attivo si mostrò il Comitato per lo Scaldarancio di Città di Castello, costituito nel novembre del 1915 dai giovani del Circolo Libertas. Nel febbraio 1916 spedì ai soldati del 51° e 129° fanteria cinque casse con 6.000 scaldarancio ciascuna. Anche i giovani cattolici del Circolo San Florido si ritrovavano nella loro sede la sera per confezionarli.
Per incitare i giovani a produrre scaldarancio in gran quantità, Venanzio Gabriotti ne sottolineò l’importanza per i soldati in trincea: “Quassù incomincia il periodo di freddo e l’utilità dello scaldarancio si fa maggiormente sentire. Ogni soldato ne abbisogna di almeno sei al giorno, due per il caffè e quattro per il rancio. Se l’amico Francioni vedesse con quanta cura vengono conservati dai soldati e come è caratteristico quando questi seduti a terra con le gambe aperte, fanno col coltello le tre incisioni necessarie e spingono in fuori, a guisa di cappuccino il centro, perché il piccolo oggetto possa meglio accendersi e riscaldare la gavetta che tengono sospesa, moltiplicherebbe la sua ben nota attività e ne farebbe, fabbricare migliaia e migliaia. Lo scaldarancio è provvidenziale per questi freddi e tutti debbono adoperarsi perché l’Intendenza Generale dello Stato non abbia a difettarne”.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.