Con l’approssimarsi dell’inverno e il dissiparsi dell’illusione di una rapida vittoria, divenne evidente che i soldati avrebbero dovuto combattere anche contro il freddo. Le stesse lettere inviate ai famigliari si soffermavano sulle aspre condizioni climatiche che rendevano ancor più difficile la vita di trincea nell’arco alpino.
Fu per questo che ogni Comitato di Assistenza Civile costituì nel suo seno uno specifico gruppo di lavoro per la confezione di indumenti di lana per i propri soldati al fronte. Si hanno informazioni su quelli di Umbertide, Pietralunga, San Giustino, Anghiari e Sansepolcro. […]
La ricchezza di cronache sulla vita sociale di Città di Castello getta maggiore luce sulle vicende del suo Comitato Pro Indumenti. La laboriosità delle volontarie è provata dai dati esposti nel resoconto dell’inverno 1915-1916: il Comitato inviò 586 pacchi, per un totale di 422 maglie, 872 paia di calze, 320 sciarpe, 280 guanti, 100 paia di mutande, 120 camicie, 6 dozzine di fazzoletti, 790 caschi, 600 pellicce e 6 giacche per prigionieri (12 pacchi furono infatti spediti a soldati internati in campi di prigionia).
Né tanto attivismo restò limitato all’ambito urbano. Con il sostegno dei parroci si costituirono sotto-comitati in campagna e particolare dinamismo mostrarono quelli di Trestina, Canoscio e Lugnano […].
Non tutti i soldati ricevevano gratuitamente il vestiario invernale. Una commissione esaminava le richieste inoltrate dalle famiglie; se di condizione agiata, dovevano contribuire alle spese per la materia prima. Si chiese la collaborazione dei parroci per appurare il reale bisogno dei richiedenti. Compito non facile, perché diverse persone presero a considerare di carattere governativo l’attività del Comitato Pro Indumenti e quindi ritennero un diritto la spedizione dei pacchi ai propri congiunti.
Lo sconcerto delle donne del Comitato era acuito dagli scarsi mezzi finanziari a disposizione. La raccolta di fondi per l’inverno 1915-1916 aveva dato buon esito. Nel 1916, invece, i contributi affluirono con lentezza e con minore convinzione. Le volontarie non nascosero un certo scoraggiamento e rammentarono le tribolazioni dei soldati in trincea: “devono vivere in mezzo al fango e hanno bisogno di vesti da poter spesso cambiare”.
Pur di acquisire fondi per l’acquisto della lana, che intanto cresceva di prezzo, il Comitato escogitò altre iniziative: una lotteria in sostituzione dei tradizionali festival carnevaleschi, trattenimenti musicali al Circolo, recite al Teatro degli Illuminati e conferenze a pagamento.
Nell’inverno 1916-1917 furono spediti ai combattenti 433 pacchi. Con meno vestiario dell’anno precedente però, e senza riuscire a soddisfare tutte le richieste. Sul banco degli accusati finì ancora la borghesia. La criticarono sia “Il Dovere”, sia “La Rivendicazione”: “Tirchi! Tirchi! Niente per gli indumenti, niente per l’assistenza civile, niente per la Casa del soldato, dove avrebbero dovuto con due meschinissime lire mensili. E dire che questa borghesia vorrebbe anche passare da patriota!”.
Da gennaio ad aprile del 1918 di pacchi ne vennero consegnati solo 97.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.