Villa della Montesca, a Città di Castello. Nella foto in alto, Leopoldo Franchetti.

La filantropia di Leopoldo Franchetti

Leopoldo Franchetti si distinse nell’intera valle come il più convinto e generoso sottoscrittore di ogni iniziativa di solidarietà durante la guerra. Appena costituito il Comitato di Assistenza Civile di Città di Castello, benché non fosse residente, contribuì subito con L. 4.000; e, per dare il buon esempio a una borghesia recalcitrante, sottoscrisse le schede del 1916 sin dal novembre dell’anno precedente. Le 9.000 lire che versò nel 1916 e 1917 equivalsero a oltre il 40% del totale dei sussidi distribuiti alle famiglie povere dei richiamati. Con una lettera al presidente del Comitato, non chiese, ma espresse riconoscenza: “[…] permetta ch’io esprima a Lei e ai Suoi colleghi tutta la gratitudine che provo per il Loro patriottismo intelligente ed operoso. A coloro cui l’età o la salute non consentono di andare a combattere al fronte, è pur dato facilitare, assecondare lo slancio e la costanza mirabile e concorde della nazione intera, portandovi il contributo della borsa e dell’opera personale”. Di lì a qualche mese il senatore offrì altre 2.000 lire, ammonendo i benestanti che “non è certo con la grettezza che si può conservare la propria posizione”.

Né si limitò a questo. Nell’autunno del 1915, turbato per la vertiginosa crescita del prezzo del pane, volle che il grano dei suoi poderi fosse venduto nei comuni di Città di Castello, San Giustino e Citerna a prezzo di favore per assicurare l’alimentazione delle famiglie dei ceti più poveri. Fece la stessa cosa anche l’anno successivo. Si calcolò che, per la consistente diminuzione volontaria del prezzo del grano, l’amministrazione della sua tenuta agraria avesse minori entrate per una somma fra le 10.000 e le 12.000 lire.

Anche l’attività delle Cucine Economiche dipese grandemente dai contributi di Franchetti. In particolare nel 1916 – anno nel quale i pasti per gli indigenti furono distribuiti dal 23 gennaio al 16 giugno – contribuì per un totale di L. 2.710, un quarto delle entrate complessive: oltre al denaro versato, cedette grano a prezzo sottostimato e acquistò 400 lire in biglietti per razioni.

Fu anche suo merito se a Città di Castello si istituì l’ospedale territoriale della Croce Rossa. E non solo per gli appoggi parlamentari assicurati. Apparteneva a lui il Palazzo della Tela Umbra, dove si insediò parte della struttura, con la cucina e la mensa; oltre a renderlo disponibile, spese di tasca sua per adattare i locali e aggiunse una donazione di 1.000 lire. Quando poi la città corse il rischio di subirne la chiusura, si mosse a Roma con tutta la sua autorevolezza per far revocare il provvedimento.

Franchetti inoltre scese in campo con energia quando il governo lanciò il Prestito Nazionale: fu il primo firmatario dell’appello alla popolazione e sottoscrisse 30.000 lire alla Cassa di Risparmio di Città di Castello. La generosità del personaggio è ulteriormente sottolineata dal fatto che in quel 1917 ricevette una medaglia d’oro per le benemerenze acquisite nell’assistenza ai terremotati della Marsica.

L’insinuazione che si potesse trattare della ordinaria elemosina di un uomo ricchissimo la contestarono gli stessi socialisti, fino a qualche anno prima suoi acerrimi avversari politici: “L’unico che ha compreso il bisogno del momento – e lo diciamo per quel sentimento di lealtà che ci anima – è stato l’on. Franchetti”. E lo additarono ad esempio alla borghesia locale, affinché cooperasse, come lui, in proporzione ai suoi averi. Ma non avvenne.

Sconvolto dalla sconfitta di Caporetto e dall’invasione del territorio italiano da parte dell’esercito nemico, Franchetti si uccise. Solo allora divenne di pubblico dominio un altro suo gesto straordinario: aveva lasciato in eredità i 42 poderi della prestigiosa fattoria ai mezzadri che vi lavoravano.