Carta di Città di Castello e della sua periferia orientale.
Veduta aerea del sobborgo del Gorgone.
L'imbocco di viale De Cesare dalla statale Tiberina 3Bis.
Veduta della zona della Madonna del Latte

9 maggio: in cammino verso la fucilazione

Era ormai il 9 maggio, giorno in cui il fascismo celebrava la proclamazione dell’impero. Le prime luci del giorno stavano filtrando dall’unica finestra della cella, molto alta, quando due militi entrarono per prelevare Gabriotti. Avevano la baionetta innestata sul moschetto. Giunsero verso le 5.30, un po’ in ritardo rispetto a quanto annunciato. Un ritardo che aveva alimentato il barlume di speranza ancora coltivato da Nardi. Ma Gabriotti lo disilluse: “Ormai sono preparato alla morte; l’attendo con serenità e non mi riuscirebbe neppure gradita una grazia in extremis, per ricominciare magari daccapo tra pochi giorni”. Poi salutò affettuosamente il compagno di cella, che per la commozione non riuscì a proferire parola.
Secondo gli atti processuali, quella mattina non fu solo il ristretto nucleo di militi che lo avrebbero poi fucilato a incamminarsi verso la periferia. Partirono infatti due compagnie composte da soldati tedeschi, da militi della GNR e da soldati italiani in divisa tedesca al comando di ufficiali germanici. I circa 250 uomini avevano il compito di rastrellare il territorio montagnoso tra Bocca Serriola e Pietralunga per eliminare le bande partigiane. Gabriotti fu posto tra le due compagnie.
Percorsero via XI Settembre e risalirono l’odierna via Mario Angeloni fino a piazza Raffaello Sanzio. Lì ebbe modo di vederlo Amedeo Mastriforti, uno dei componenti del Comitato Clandestino di Soccorso: “Per una strana telepatia che non so spiegare, mi recai alle sei del mattino in Piazza Raffaello Sanzio. Lui passò in mezzo al plotone di esecuzione e a molti altri militi. Vicino al monumento del Palazzi [il monumento equestre all’XI Settembre, opera dello scultore tifernate Elmo Palazzi, n.d.a.], tentai di farmi vedere, senza espormi, ma lui non se ne accorse affatto, tutto chiuso nel suo gabardine chiaro, mentre i militi cantavano le loro canzoni di guerra”.
La colonna di militari svoltò poi per via Albizzini, sboccando in piazza Garibaldi. Il milite Agostino Tavernelli affermò al processo che, giunta presso la stazione ferroviaria, allora situata nella piazza, la sua compagnia di Ordine Pubblico si divise in duegruppi: la sezione con il sotto-tenente agrigentino Filippo Faro continuò verso la strada di Belvedere e Fraccano; l’altra, con il tenente napoletano Edoardo Scotti, si diresse in direzione di Pietralunga. Sarebbero stati gli uomini di Scotti a sorprendere quattro giovani renitenti tifernati a Montemaggiore e a fucilarli a Castelguelfo e a Caizingari.
Su quanto avvenne nella lunga e diritta via che conduce verso Belvedere – attualmente, in successione, viale Raffaele De Cesare e viale Aldo Bologni – ci sono testimonianze contrastanti. Secondo la deposizione del milite Vincenzo Manganelli, quando il reparto con Gabriotti al seguito stava per uscire dal sobborgo del Gorgone, il comandante tedesco lo fermò e si mise a parlare con Faro: “[…] Il Faro, per richiesta del capitano della SS, scelse dalla compagnia un gruppo di circa 20 uomini. In tale gruppo capitai anch’io. Il capitano tedesco a sua volta scelse fra i suoi uomini una ventina, ed entrambi i gruppi si avviarono, me compreso, per una strada di campagna, marciando ai fianchi di essa. Notai avanti a me un borghese che camminava a fianco del s. ten. Faro discorrendo con lui. Il resto dei reparti italiano e tedesco nel frattempo rimasero fermi al crocevia”.
Nemmeno un altro milite forestiero si rese inizialmente conto di quanto stava per succedere: “Il Gabriotti non era conosciuto dai militi della compagnia; anzi, si credeva che fosse una spia in favore. Successivamente si capì che si trattava di una persona destinata alla fucilazione”.
Questa ricostruzione però non collima con quanto videro quella mattina due ragazzi e una adolescente, che hanno conservato una memoria vivida di ciò che avvenne lungo il viale. Ebbero l’opportunità di scorgere Gabriotti e i militari che lo scortavano in tre punti diversi del percorso. Tutti concordano sul fatto che si trattava di non più di una dozzina di militi fascisti (“della Bilincièna”). Vincenzo Santinelli si imbatté su di loro proprio all’imbocco del viale, presso la strada statale: “Marciavano a due per due. Gabriotti era in fondo, con la gabardina sulle spalle, aveva il capo reclinato”. Gina Minciotti, che si stava recando ad acquistare il pane dal fornaio di via della Tina, se li vide passare accanto. Ha raccontato in una testimonianza scritta: “Sono persone vestite di scuro, armate fino ai denti, con fucili molto allungati. […] Alcuni del gruppo sono giovani, degli sbarbatelli, e le loro divise sono troppo abbondanti. Altri due o tre sono di età più matura, coi baffetti, e dominano per la loro statura”. Dietro di loro Gabriotti, un “uomo di mezza età”, con capelli e vestiti chiari e un portamento fiero. A pochissima distanza, Annibale Bolletta era con la mamma in cucina, al pianterreno di una casa che si affaccia sul viale: “Ho sentito cantare una canzone fascista e mi sono affacciato. I fascisti cantavano. Gabriotti era tra di loro; teneva la gabardina sul braccio”. I tre giovani non notarono militari tedeschi; né militi fascisti di Città di Castello di loro conoscenza o che avrebbero poi rivisto in città.
Che Gabriotti sia stato scortato verso il luogo della fucilazione da una squadra di fascisti si disse certa anche Eliana Pirazzoli, all’epoca giovane crocerossina: “La mattina del 9 maggio io e l’ispettrice della Croce Rossa Malwida Montemaggi abbiamo incrociato un gruppo di fascisti che cantavano, con il tenente Faro in testa. Gabriotti era prigioniero in fondo al gruppo, chiuso da due militi. […] Erano in pochi: davanti questo tenente Faro, uno studente universitario siciliano. Tutti in divisa grigio-verde, con la camicia nera sotto. Se chiudo gli occhi, ancora li rivedo. Erano tutti forestieri. Non ho riconosciuto nessuno di Città di Castello. Gabriotti non mi ha visto: camminava quasi in fondo. Quattro davanti e altri tre o quattro dietro”.
Dunque, per quanto si fosse fatto giorno da poco, diverse persone si trovavano nel tratto di periferia e di campagna tra il cimitero, la strada per Belvedere e il sobborgo del Gorgone. Chi vi stava transitando, chi era da poco al lavoro sui campi. Le loro testimonianze, sebbene talora discordanti o vaghe, contribuirono comunque ad elevare la fucilazione di Gabriotti a evento tra i più coinvolgenti a livello popolare della storia tifernate.

Il testo, che però non include le note, è tratto dal volume di Alvaro Tacchini “Gli ultimi giorni di Venanzio Gabriotti”, Istituto di Storia Politica e Sociale “V. Gabriotti”, Quaderno n. 14, 2018.