Carta della tenuta di Santa Fista negli anni ’30.

Trasformazioni patrimoniali e affitto

Le Congregazioni di Carità di Città di Castello e di San Giustino assunsero l’amministrazione del patrimonio dell’erigenda Officina Operaia il 1° novembre 1916. A quell’epoca comprendeva anche 7 predi a Scalocchio e due poderi a Montone. Fu allora che si decise di “dedicare il massimo sforzo alla messa in valore della tenuta di Santa Fista”, ampliandola con l’acquisto di villa Corvini, del voc. Pianali e di altri predi contigui. Nell’operazione venne reinvestito il ricavato della vendita delle proprietà Bufalini di Scalocchio e Montone.

Il patrimonio dell’erigenda Opera Pia subì quindi una radicale e razionale trasformazione. La cessione di alcuni poderi distaccati rese possibile estendere la fertile tenuta di Santa Fista, costruirvi nuoce case coloniche ed essiccatoi per il tabacco, bonificarne i terreni ed effettuare ulteriori opere di miglioria agricola, ridistribuire in modo più produttivo il terreno fra i vari poderi ed attuarvi la rotazione quinquennale. Appartenevano all’Opera Pia anche il podere dell’Olmo, presso Riosecco, ed altri in alta collina, a Vallurbana: costituivano un tutto organico, dal momento che l’Olmo serviva come scalo per il bestiame di Vallurbana per le fiere e i mercati.
Nel 1926si scelse – e la cosa suscitò discussioni – di affittare il patrimonio agrario. L’Opera Pia sperava così di ricevere dagli affittuari – Cesare Manganelli e Amedeo Trasimeni – una corrisposta annua di L. 275.000. Al netto delle lavori di manutenzione e miglioria nei fondi, delle imposte, e della remissione di debiti pregressi, si sperava di fare affidamento su 100 mila lire annue per la Scuola. Ulteriori risorse finanziarie sarebbero state acquisite con il taglio dei boschi cedui di Vallurbana. Invece il costante ribasso dei prezzi agricoli e le avversità atmosferiche misero in grave difficoltà i due affittuari, benché – riconobbe l’Opera Pia – gestissero la tenuta “in modo esemplare”. Fu quindi necessario accordar loro una prima diminuzione del canone di L. 60.000; quindi, dal 1° novembre 1929, una sentenza del tribunale di Perugia ridusse ancora il canone a L. 140.000.
La situazione peggiorò di lì a poco. Gli affittuari non riuscirono a reggere l’urto della crisi e nel 1931 riconsegnarono l’azienda agraria all’Opera Pia, nei confronti della quale avevano accumulato un ingente debito.