Don Achille Rossi nel campo di lavoro.
Nel campo di lavoro.
Momenti di riflessione in un campeggio dei giovani della parrocchia di San Pio.

Tra solidarietà e denuncia

Il primo campo di lavoro fu un successo straordinario. Non solo per la considerevole partecipazione di giovani. Anche la cittadinanza si lasciò coinvolgere alla grande, affascinata da quei ragazzi che giravano con i carretti, raccoglievano tutto quello che trovavano di utile nei garage e nelle soffitte e lo portavano al centro di raccolta, nel campetto sportivo del Seminario, a ridosso delle mura urbiche di San Giacomo. Fu lì che carta, stracci, lana, bottiglie, ferro e ogni altro genere di metalli veniva accorpato in aree specifiche per poter poi essere venduto ai vari acquirenti all’ingrosso. Gli oggetti di maggior valore (libri, manufatti vari e tutto quello che oggigiorno troveremmo alla Mostra del Rigattiere) finiva al “mercatino”, diventando un cespite di guadagno non indifferente.

Quel campo di lavoro contribuì in maniera determinante a sviluppare la coscienza etica, spirituale e politica dei partecipanti, che quotidianamente si confrontavano sulle problematiche del Terzo Mondo. L’organizzazione era infatti severa: ore 7.30 messa (facoltativa), ore 8.30 inizio lavoro, in serata riunione di approfondimento.

Fu tale maturazione a portare diversi esponenti dei Giovani per il Terzo Mondo ad aderire alla contestazione e al movimento studentesco. Nel contempo altre iniziative dell’associazione ebbero un chiaro significato di denuncia. Una manifestazione per sensibilizzare la cittadinanza sui problemi del Biafra dette il via a una dura polemica, nel febbraio 1969. I Giovani per il Terzo Mondo rivendicarono il diritto di denunciare “le disumane contraddizioni di una società ben rimpinzata che osserva in pace altri uomini morire, magari illudendosi di aver risulto tutto nell’ipocrita beneficenza”, e accusarono di “insipienza o disonestà” i “piccoli borghesi” che li criticavano. Il corrispondente di un quotidiano locale rispose piccato, bollando i contestatori come arroganti, per di più ingrati verso quelle famiglie “piccolo-borghesi” dei cui agi molti di essi beneficiavano. E affermò: “Avete fatto un campo di lavoro e ci siete piaciuti. Ora incominciate a predicare e ci piacete meno”.

Pure la sinistra si sentì spiazzata dal protagonismo di giovani, quasi tutti cattolici, che non si riconoscevano nei suoi partiti. Don Luigi Spallacci riferì ne “La Voce” la critica di quanti vedevano nell’attività dei  Giovani per il Terzo Mondo “l’equivoco di una carità non abbastanza sensibile all’urgenza della giustizia”; da loro punto di vista i campi di lavoro erano “inutili” e bisognava invece dedicarsi solo a rivoluzionare i rapporti internazionali. Così Spallacci rispose a tali argomentazioni: “In realtà il gesto di solidarietà dei ‘Giovani per il Terzo Mondo’ non negava la lotta per distruggere le cause dell’ingiustizia che opprime i poveri. Essi però hanno capito che si è pessimi ‘rivoluzionari’ se in nome di un mondo nuovo da costruire, ci si rifiuta di aiutare immediatamente e personalmente coloro che hanno bisogno urgente di vivere”.

Il risultato di quel primo campo di lavoro fu eccellente. Ecco i dati della raccolta, in chilogrammi: 234 di rame, 681 di ottone, 638 di alluminio, 215 di piombo, 113 di zinco, 6.828 di ghisa, 42.256 di ferro, 17.374 di stracci, 880 di lana, 21.910 di cartone, 38.664 di riviste, 3.314 di carta bianca, 26.990 di vetro (oltre a 15.606 bottiglie). Il ricavato fu di L. 3.042.500, più L. 558.520 proveniente dal “mercatino” e da altre iniziative collaterali.

Perché quei soldi presero la via dell’Equador? Perché Riziero D’Olimpio, originario di Rieti, aveva frequentato il seminario insieme a don Achille e a don Paolino, manteneva contatti con loro e chiedeva aiuti per la sua opera missionaria.