La testata originaria del giornale.
La nuova testata del giornale nel 1970.

«Il Sagittario», prima e poi

Nel marzo 1969 un giornaletto degli studenti tifernati fece ben capire che stava cambiando qualcosa di profondo. Si chiamava «Il Sagittario». Esisteva dal maggio 1963 e si presentava come numero unico; in realtà in qualche anno scolastico ne uscirono anche due o tre copie.

Fino al 1967 vi collaborarono come redattori nomi noti a Città di Castello, come Pier Giorgi Lignani – che fu anche direttore responsabile – Mario Capanna, Angelo Capecci,  Rosella Mercati, M. Cecilia Landucci, Angelo Zigrino, Fernando Campagni, Gianni Coltellini, Maurizio Cocchieri, Luciana Guerri, Nella Borri, Marcella Monicchi, Mario Magini e Antonio Morbidelli. La bella copertina de «Il Sagittario» era stata disegnata dal pittore Piero Pellegrini.

Fu un giornale studentesco, diciamo così, “normale” fino al numero del novembre 1967. Ma durante il 1968 avvennero troppo cose in Italia e nel mondo perché potesse riproporsi con il solito taglio leggero, quel mix di riflessioni intellettuali e spirito goliardico, spesso prevalente,  tipico di pubblicazioni del genere. Del resto anche l’associazione studentesca cittadina dell’epoca – il Movimento Studenti Medi – non era certo un covo di rivoluzionari: nel 1967-1968 si dedicò a conferenze, proiezioni cinematografiche, gite, audizioni di musica classica, quadrangolare di calcio, caccia al tesoro in bicicletta…

Il “Sessantotto” finì con il mettere tutto in discussione. Dopo la contestazione del ballo pro-Croce Rossa del gennaio 1969 e mentre il Movimento Studentesco tifernate si stava articolando nelle scuole, altri studenti presero in mano la redazione de «Il Sagittario». A Gabrio Spapperi, già redattore nel 1967, si affiancarono Ennio Taffini, Giuliano Loschi, Enrico Costantini, Albano Bragagni e il sottoscritto.

Emblematico il titolo dell’articolo di presentazione dell’unico numero del 1969, che uscì a marzo: “Contestiamo il  Sagittario”. Proclamava di voler andare ben oltre il “grazioso giornaletto” degli anni precedenti, dove “le vignette umoristiche e le bonarie caricature dei professori costituivano il motivo fondamentale, dove le poesie, più o meno artistiche e sentimentali, erano il dolce intermezzo tra un buon italiano e un ‘maccheronico’ latino”; un giornaletto sostanzialmente goliardico, senza spirito critico, che evitava prese di posizioni sociali e politiche, privo di “coscienza contestataria”. Invece bisognava interessarsi di quanto avveniva nella società, soprattutto dei problemi e degli interessi di quei giovani che erano insoddisfatti del mondo in cui vivevano. I redattori de «Il Sagittario» sentivano la necessità di dare una spallata a quell’insieme di provincialismo, di apatia e di qualunquismo che ancora irretiva la maggioranza dei giovani. Nel contempo erano ben consapevoli di quanto la massa dei contestatori fosse eterogenea, persino inquinata da elementi di esibizionismo e di nuovo conformismo. Il giornale si proponeva pertanto come “palestra” di idee, in modo che la contestazione diventasse proposta e “stimolo all’impegno personale e cosciente di ognuno”.

In effetti il contenuto del giornale venne radicalmente rinnovato. Gli articoli comparvero non firmati, onde evitare personalizzazioni e indebiti protagonismi. Un segno dei tempi fu indubbiamente il pezzo “Votate Tiberio Gracco!”. Contestava decisamente il nozionismo dell’insegnamento, il completo disinteresse della scuola verso i grandi problemi contemporanei, il suo pregiudizio negativo verso la politica (“si vuol far credere che sia una cosa troppo grande ed impegnativa per noi ingenui ed inesperti studenti”). Con il risultato che i giovani conoscevano meglio le questioni dell’antica Roma rispetto a quelle del loro tempo. Un forte attacco, quindi, contro una scuola che – si legge – “viene meno al suo principale compito di formare l’individuo, di porlo in posizione critica nei confronti del contesto sociale in cui dovrà vivere, di favorire in lui una mentalità critica che lo renda veramente libero nelle sue decisioni”; questa scuola, concludeva l’articolista, non faceva altro che “creare automi bell’e pronti per essere inseriti nel sistema”. Un articolo così duro non lo scrisse un marxista-leninista, ma un ragazzo che si dichiarava, tutto sommato, “moderatamente favorevole” a quel sistema che stava contestando…

In un altro articolo (“Società e scuola binomio inscindibile”) si sottolineava che il cambiamento della scuola doveva necessariamente comportare la riforma della società verso una maggiore giustizia; e bisognava andare in tale direzione con risolutezza, senza farsi irretire dalla ingiuste accuse di chi considerava i contestatori pedine dei partiti di opposizione. L’autore dell’articolo  “Internazionalismo contestatario” ribadiva che la scuola doveva formare degli uomini liberi, “cioè degli innovatori sereni e non dei conformisti”.