Nelle prime settimane di amministrazione, le autorità civili insediate dal regno sabaudo fecero il possibile per tenere vivo un filo di dialogo con la Chiesa locale. In effetti i primi segnali furono di reciproca comprensione. Ma la tensione crebbe in occasione del plebiscito, anche se non si giunse a uno scontro aperto.
Nella seconda metà del novembre 1860 il clero entrò in fibrillazione, anche perché chiamato alla consegna dei registri e dei libri parrocchiali, essenziali per poter dar vita agli uffici di stato civile nei Comuni. La convivenza tra Stato laico e Chiesa divenne sempre più difficile.
L’esito del plebiscito spianò la strada alla politica di incameramento di parte dei beni della Chiesa. La Legge Rattazzi del 1855 aveva soppresso nello Stato sabaudo gli enti ecclesiastici che non si dedicavano alla predicazione, all’educazione e all’assistenza degli infermi, istituendo un ente autonomo – la Cassa Ecclesiastica – per gestirne il patrimonio, sussidiare i religiosi e far fronte alle spese di culto. L’11 dicembre 1860 il commissario Pepoli decretò la soppressione nella provincia di tutte le corporazioni religiose che, a suo giudizio, non adempivano alle finalità per le quali avevano beneficiato di tanti lasciti, cioè “di cooperare al progresso della pubblica istruzione ed al vero sollievo delle classi indigenti”. Se ne salvarono ben poche. Si dettero ai religiosi appena 40 giorni di tempo per lasciare conventi e monasteri soppressi.
La vicenda della soppressione dei beni ecclesiastici portò al livello estremo le tensioni tra Stato liberale e Chiesa cattolica. Nell’impossibilità di veder revocati i provvedimenti, ai vescovi umbri non restò altra strada che il tentare di mitigarli. Soprattutto sconcertava la tassazione, definita “esorbitante”, dei beni rimasti di proprietà della Chiesa.
Se la rapida ed inesorabile laicizzazione dello Stato suscitò emozioni e reazioni contrastanti, i tifernati seppero compattarsi nell’osteggiare provvedimenti che colpivano interessi importanti della città e la sua stessa dignità. Fu grazie a ciò che riuscirono a impedire la soppressione delle Oblate ospedaliere e delle Salesiane, che avevano in mano l’istruzione femminile in città.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).