Sfaldamento del regime pontificio

Ad eccitare ancor più l’animo dei patrioti giunse la mobilitazione dei toscani per il plebiscito che doveva sancire la loro annessione alla monarchia costituzione di re Vittorio Emanuele II. Si svolse, come in Emilia e in Romagna, l’11 e 12 marzo ed ebbero la facoltà di recarsi alle urne tutti gli uomini con almeno 21 anni di età e in possesso dei diritti civili. L’entusiasmo per quella libera manifestazione di italianità e di democrazia contagiò la provincia umbra. Riferì al ministro il delegato apostolico perugino: “Grande esaltazione dello spirito pubblico per la votazione in Toscana: schede stampate con annessione al Piemonte, trovate affisse in Perugia, Assisi, Città di Castello e altrove”. Sconsolato, aggiunse che le perquisizioni effettuate per identificare i responsabili non avevano dato alcun esito.
Intanto, nel centri umbri, altri stampati patriottici affissi nottetempo invitavano la popolazione a riprendere il boicottaggio del fumo e del gioco del lotto e a dar vita ad azioni di disobbedienza civile, come il rifiuto di pagare i dazi governativi. C’era dell’altro che inquietava le autorità pontificie: a fine febbraio notarono che si stavano verificando improvvise partenze di uomini, intenzionati ad arruolarsi in Toscana. Qualche settimana prima, a Cortona, uno stupito Giuseppe Danzetta assistette al fenomeno di nutriti gruppi di giovanissimi umbri che espatriavano decisi a combattere per l’Italia: “Sono vari giorni che sono incominciati ad arrivare molti giovanetti dai 14 ai 16 anni, tutti Perugini. Vogliono arruolarsi in tutti i modi: altrimenti piangono, si disperano, fanno stranezze straordinarie. Oggi ce ne sono nove”.
Un’ulteriore riprova del progressivo sfaldamento del regime pontificio si ricava da un messaggio inviato in quel periodo dal delegato apostolico di Perugia al ministro dell’Interno. Ammetteva che la sua azione era spesso paralizzata dalla “incertezza e riserva dal lato politico” mostrata da tutti i governatori e funzionari della Provincia. Scrisse: “Invano si attenderebbe da loro relazioni esplicite, ché il timore di andar compromessi anche nella vita, li rende muti e silenziosi. Per la qual cosa, io ho dovuto impiantare un dispendioso indiretto servizio, senza di che sarei all’oscuro degli avvenimenti nei luoghi soggetti”.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).