Memorie di Giovannino Fiori sul passaggio del fronte e sulle vicende partigiane nel Capresano.

Requisizioni partigiane nel Capresano alla fine di marzo 1944

Tra il 24 e il 27 marzo i partigiani di quella zona effettuarono alcune requisizioni di grande impatto popolare. Ebbero come primo bersaglio i negozi dei fratelli Romolini a Fragaiolo, i più importanti del Capresano. Gli slavi, insieme a qualche partigiano altotiberino, svaligiarono completamente le botteghe, asportando merce per un valore di oltre mezzo milione di lire. Riferì il Notiziario della GNR: “I ribelli, dopo aver scritto sui muri frasi inneggianti alle vittorie russe, si allontanarono, portando al seguito la refurtiva caricata sopra circa 30 muli”. Wanda Romolini ritiene che a danno della sua famiglia abbia giocato il pregiudizio ideologico degli slavi: “Noi non si era fascisti, ma gente di chiesa, sempre in prima fila alla messa. Nel nostro negozio lasciarono solo il ritratto della Madonna appeso al muro”. A terrorizzarla fu soprattutto quanto gli slavi inscenarono in casa mentre i compagni svaligiavano i negozi: “Ci radunarono nella sala e loro, sei o sette, si misero a sedere davanti a noi sul tavolo, con i mitra spianati verso di noi. Dissero che dovevano decidere se ucciderci. Noi eravamo terrorizzati, si piangeva, si pregava tenendo stretti in mano i santini. Poi presero dei pezzi di carta e se li distribuirono per decidere la nostra sorte. Una specie di votazione. Ci scrissero qualcosa, li raccolsero e ci dissero che non ci uccidevano, perché avevano prevalso i No alla nostra uccisione”.

Il 27 marzo una cinquantina di partigiani presero di mira a Ponte alla Piera e a Tavernelle i magazzini pubblici dove erano ammassati i cereali, asportando oltre 70 quintali di grano. Due giorni dopo assaltarono il presidio dei carabinieri a Renicci, disarmandolo. Il 30 marzo, infine, una ventina di slavi delle bande di Stefano e Valentino occuparono il piccolo presidio della GNR di Caprese Michelangelo, disarmando i militi. Fu in tale circostanza che avvenne il sequestro di Gino Innocenti; dopo averlo portato in montagna, gli slavi lo uccisero e ne occultarono il corpo.

Proprio il 30 marzo prese l’avvio la reazione nazi-fascista all’attività partigiana sull’Alpe di Catenaia. Il rastrellamento, che proseguì anche nei giorni seguenti, interessò il territorio tra Ponte alla Piera e Caprese Michelangelo e fu condotto congiuntamente da reparti germanici e militi fascisti. L’apporto della GNR era generalmente prezioso per i tedeschi, specie quando le camicie nere conoscevano bene i luoghi e le persone delle zone rastrellate e rendevano così possibile penetrarvici con maggiore efficacia. Tuttavia l’operazione si dimostrò inefficace. Le formazioni partigiane riuscirono a rompere l’accerchiamento, dirigendosi chi verso La Verna e il Pratomagno, chi verso sud, in direzione del Monte Favalto.

Inoltre – e ciò testimonierebbe come i partigiani continuassero a controllare il territorio – il 1° aprile si verificò nella zona dell’Alpe di Catenaia una requisizione di grano agli ammassi pronto per essere prelevato dai tedeschi. Collaborarono all’azione i contadini del luogo, che misero a disposizione i carri agricoli per il trasporto del grano, distribuito poi alla popolazione.

 

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.