Reati di natura politica durante la Grande Guerra

Nell’agosto 1915 la Corte di Appello di Perugia esaminò il ricorso del meccanico di San Giustino Andrea Baccellini, di 57 anni, contro la condanna a 15 giorni di detenzione inflittagli dal pretore di Città di Castello il 17 luglio precedente. Il Baccellini era andato su tutte le furie nella sede dell’ufficio postale sangiustinese perché gli erano state tassate per multa alcune lettere non affrancate speditegli dai figli in zona di guerra. Quando sopraggiunsero i carabinieri, li apostrofò con aspre parole: “Siete i tedeschi d’Italia”. Il tribunale di Perugia confermò la condanna, motivandola con il fatto che, a prescindere dalla giustezza o meno delle rimostranze, Baccellini non avrebbe dovuto lanciare un’accusa così grave a dei militi in servizio [1].
La frazione tifernate di Trestina fu teatro di una manifestazione popolare di protesta il 14 aprile 1916. Allo scalo ferroviario, una folla di dimostranti tentò di impedire il trasporto a Città di Castello di una “notevole” quantità di grano. Nel contesto delle diffuse preoccupazioni per il carovita e per la penuria dei beni di prima necessità, la gente temeva che sarebbe venuto a mancare cereale per la propria alimentazione. Le forze dell’ordine riuscirono a identificare solo cinque manifestanti: Lorenzo Merciai di anni 43, Andrea Merciai di anni 15, Rosa Signorelli di anni 37, Maria Domenica Piccinelli di anni 29 e Diamante Vitellozzi di anni 25, tutti di Trestina. Il 27 settembre del 1915 il pretore di Città di Castello li condannò a pene detentive da 12 a 27 giorni, oltre a una multa, per aver impedito la libertà di commercio. In appello, il 20 novembre 1916, venne accordato il beneficio della sospensione condizionale della pena anche a quegli imputati che si erano resi in un primo tempo contumaci [2].
Nell’ottobre 1918 il tribunale perugino assolse per insufficienza di prove la giovane Maria Bianchi, residente a Schine, nella valle del Nestoro. L’accusa era di “avere il 21 maggio 1918 diretto al proprio fratello militare in zona di guerra una lettera contenente frasi contrarie alla guerra ed al Governo, atte a deprimere lo spirito pubblico e la resistenza del paese in guerra [art. 1 del d.l. 4 ottobre 1917]”. La lettera al fratello Annibale fu intercettata dalla censura. Il tribunale prosciolse la Bianchi perché ancora minorenne e giudicata “irriflessiva”, poco consapevole della portata di cosa scriveva e per di più in precarie condizioni psicofisiche [3].

 


[1] Archivio di Stato di Perugia, Sentenza della Corte di Appello di Perugia, 27 agosto 1915.
[2] Ivi, Sentenza della Corte di Appello di Perugia, 20 novembre 1916.
[3] Ivi, Sentenza del Tribunale di Perugia, 12 ottobre 1918.