Porta Santa Maria.
La porta nella pianta dell'abate Filippo Titi.
Pianta della porta e del Torrione della Cera.

Porta Santa Maria: primo progetto di demolizione

Il torrione di porta Santa Maria è sopravvissuto in modo quasi miracoloso fino ai giorni nostri. Una prima demolizione ne fu decretata nel 1872; avrebbe dovuto essere sostituito da una barriera con cancellata in ferro. Il consiglio comunale aveva adottato il provvedimento a grandissima maggioranza ed alcuni abitanti del corso si erano detti disposti a contribuire finanziariamente, coprendo circa un terzo delle spese. Ma non se ne fece nulla.
La cosa, però, stava evidentemente molto a cuo­re agli abitanti della parte bassa del corso, i quali, verso la fine del 1875, inviarono una petizione al sindaco, chiedendo l’attuazione della delibera di demolizione di “quell’ammasso di materiale detto il torrione”. Presero spunto dai lavori di lastri­catura, allora in via di realizzazione, per sottolineare i rischi che l’alta struttura medioevale avrebbe potuto arrecare alla nuova pavimentazione: “La porta di Santa Maria, per essere tanto elevata, impedisce che i venti asciughino il lastricato per una lunghezza di circa 60 metri con uguale sollecitudine che nel rimanente, arre­cando grave incomodo ai passeggeri e togliendo altresì la bella visuale del sobbor­go di Rignaldello, che forma quasi un rettifilo con il corso. […] La nostra città potrebbe prendere in quella parte un aspetto elegante, mentre ora quell’antico ed informe baluardo non presenta che la facciata di una tomba in cui dormono almeno gli abi­tanti del corso”. Uno dei sostenitori della demolizione esprimeva in questo modo le sue ragioni sulle colonne de “Il Tevere”.
Gli rispondeva subito una voce contra­ria e si infiammava così il primo dibattito pubblico attraverso i giornali su questio­ni di carattere urbanistico. L’oppositore non andò tanto per il sottile: dette al “demolitore” del monomaniaco (“fisso lo sguardo al bastione di porta Santa Maria, sembra che lo veda nel sonno, al destarsi, all’ora del passeggio, del lavoro, del pranzo e del ritorno alla quiete del letto. Per carità, si divaghi, si curi…”) e sostenne che tale era la penuria di denaro nelle casse pubbliche che in ben altri e più urgenti pro­getti avrebbe dovuto essere impiegato: “[…] ci fa difetto il selciato alle strade, luoghi dove disperdere le acque fecciose e dove depositare il soverchio del nutrimento: e di notte, se la luna ci fa cilecca, anche la illuminazione […]”.
Non una parola per controbattere le questioni di pubblico decoro avanzate dai sostenitori della demoli­zione, né per reclamare la sopravvivenza di un importante retaggio di storia citta­dina. Ma il tasto toccato era quello vincente: il 30 aprile 1876, il consiglio comunale revocava ogni deliberazione in merito all’abbattimento del torrione, considerando­la opera di lusso e non prioritaria. Per il resto del secolo la questione non sa­rebbe stata posta.