Breve articolo di cronaca sull’incursione squadrista di Città di Castello.

Pasqua violenta

Ventidue squadristi perugini giunsero a Città di Castello poco prima delle ore 21, a bordo di un camioncino e di una vettura, e si congiunsero alla dozzina di fascisti tifernati che li attendevano fuori porta Santa Maria. I socialisti, consapevoli del pericolo incombente, avevano tentato senza fortuna di avvertire i compagni di Trestina e Promano, perché presidiassero le strade di accesso alla città, e si raccolsero a difesa della Camera del Lavoro. Gli squadristi iniziarono a risalire corso Vittorio Emanuele II senza incontrare alcuna resistenza. Urlarono slogan, intimarono ai cittadini di restare chiusi nelle loro case e di sbarrare le finestre e spararono qualche colpo di arma da fuoco a fini intimidatori. Quando un’ostruzione alla strada per dei lavori in corso li costrinse a fermarsi, uno sparatore rimasto ignoto ferì con un colpo di fucile da caccia Augusto Agostini, figura di spicco dello squadrismo perugino. Ancor più infervorati, i fascisti raggiunsero la sede della Camera del Lavoro e della tipografia del giornale socialista “La Rivendicazione”, nella vicina via dei Casceri. Vista la mala parata, i pochi socialisti lì raccoltisi abbandonarono lo stabile e per questa loro precipitosa fuga sarebbero stati a lungo derisi dai fascisti. Iniziò allora l’opera di devastazione, con la distruzione dei macchinari della tipografia e del mobilio, l’incendio dei libri della biblioteca socialista e la cattura – come trofei di guerra – delle bandiere del movimento dei lavoratori. Durante la notte gli squadristi penetrarono nelle abitazioni dei socialisti GioBatta Venturelli, Luigi Crocioni e Raffaello Marinelli; altri dirigenti – come il segretario della Camera del Lavoro Aspromonte Bucchi – riuscirono a nascondersi. Un socialista sparò dei colpi di rivoltella contro l’abitazione dello squadrista Giuseppe Gentili, che abitava nel pressi della sede socialista.

In quelle ore rimasero ferite otto persone. Una di esse, il barbiere cinquantenne Giuseppe Baldacci, raggiunto da un colpo di fucile e poi percosso per non essersi piegato a cavare il cappello e a gridare “viva l’Italia”, morì di lì a qualche giorno. Quaranta carabinieri di rinforzo al distaccamento locale giunsero da Perugia intorno alle ore 22 e ripresero il controllo dell’ordine pubblico. Mentre si spegneva l’eco dei colpi d’arma da fuoco, si udivano le urla e i canti dei fascisti, che continuarono a percorrere la città per tutta la notte.

L’indomani gli squadristi imposero ai cittadini di esporre bandiere tricolori…

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