Partigiani tra Monterchi e Palazzo del Pero

Per coordinare il movimento di Resistenza tra l’Alpe di Catenaia, l’Anghiarese e l’Appennino umbro-toscano, la “Pio Borri” incaricò Aldo Donnini di costituire a ridosso della valle del Cerfone il cosiddetto Centro Collegamento “Poti”. La zona aveva grande importanza strategica, sia perché solcata dalla strada provinciale e dalla ferrovia per Arezzo, sia per le vie rurali trasversali che collegavano le alture appenniniche a occidente del Tevere. Donnini, coadiuvato da Dante Gallorini, si mise all’opera il 26 maggio, appena esauritosi nella zona un infruttuoso rastrellamento tedesco, attuato anche con autoblindo e lanciafiamme.

Il Centro, nel quale gravitarono una decina di uomini, tra cui tre sloveni e un russo, ebbe soprattutto il compito di reclutare e smistare partigiani, di assistere sbandati, disertori ed ex-prigionieri di passaggio e di favorire i rapporti tra le formazioni operanti sull’Alpe di Catenaia, sull’Alpe della Luna e sul Monte Favalto. Inoltre esercitò una costante opera di controllo del territorio montano, con posti di blocco quotidiani. Sebbene l’azione militare non fosse un obbiettivo primario, il Centro “Poti” si rivelò per i nazi-fascisti una fastidiosa presenza lungo una valle transitatissima dai loro mezzi. Il 6 giugno avviò una sistematica attività di sabotaggio “lungo la strada fuori dei centri abitati mediante l’infissione di punte di ferro sulla massicciata”. Tra Ville Monterchi e Palazzo del Pero rimasero bloccati sei automezzi con le gomme forate. Nei giorni successivi subirono la stessa sorte nove autocarri e due camion tedeschi; questi, fermi sulla strada, diventarono facile bersaglio dei caccia alleati. Dal 29 maggio, per tre settimane, Donnini e i suoi uomini si resero poi protagonisti di coraggiosi colpi di mano: il disarmo di alcuni militi fascisti tra Monterchi e Molin Nuovo, l’incursione per prelevare armi nella caserma di Palazzo del Pero e qualche attacco a militari tedeschi, con la cattura di due di essi.

L’incursione di Palazzo del Pero avvenne l’11 giugno. La caserma era stata abbandonata dai fascisti, ma occupata dai tedeschi. Dei cinque episodi di disarmo riferiti da Donnini fecero le spese sei sottufficiali della GNR e un bersagliere e portarono alla cattura di dodici moschetti, quattro pistole e venti bombe a mano. Nei tre attacchi contro i tedeschi, alcuni dei quali sorpresi a fare razzie, ne furono feriti un paio e forse uno rimase ucciso. Donnini cercò di limitare gli atti ostili contro i militari tedeschi “per non attrarre l’attenzione sulla zona del comando germanico” e per non mettere a repentaglio la popolazione del luogo, dalla quale aveva reclutato i partigiani e che collaborava “con spirito di sacrificio”. Per l’alimentazione del Centro e dei suoi numerosi assistiti – una media di 40 pasti al giorno – furono necessarie delle requisizioni. L’armamento iniziale consistette in dieci fucili modello 91, cinque pistole e quattro bombe a mano a testa.

Fonti della Resistenza inoltre quantificano in otto gli attacchi portati dai nuclei della “Pio Borri” a mezzi germanici lungo la strada provinciale da Ville Monterchi a Palazzo del Pero dalla fine di maggio al 22 giugno; quattro tedeschi sarebbero stati uccisi, sette feriti e quattro catturati. Dopo l’ultimo agguato, essi si videro costretti a rafforzare le scorte ai propri convogli, a porre un osservatorio speciale in località Fabbri di Palazzo del Pero, a segnalare con cartelli il pericolo della presenza partigiana e a pattugliare sistematicamente la zona.

Il 26 giugno il comandante della “Pio Borri” Siro Rosseti dette disposizione di spostare il Centro “Poti”, con tutti i suoi uomini, a Molin dei Falchi, presso Pietramala, in comune di Arezzo.

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.