Vedute di Marzana.
Lapide in memoria di Tobia Buzzini.

Il rastrellamento tedesco di Monte Favalto e Marzana

A occidente del Tevere, i tedeschi avviarono un grande rastrellamento tra Monte Favalto e Marzana all’alba del 1° luglio. Il giorno precedente era stata attaccata presso Santa Maria della Rassinata una loro autovettura con degli ufficiali. I partigiani avevano ferito due militari e catturato documenti che si rivelarono di notevole interesse strategico. Ma il rastrellamento non fu una mera reazione all’agguato subito. Mentre si combatteva in Valdichiana, al comando germanico urgeva di consolidare la linea difensiva di Arezzo, assumendo il pieno controllo di Monte Favalto sull’Appennino tosco-umbro.

Per quanto la mancanza di strade rendesse arduo l’impiego su quelle alture di autoveicoli e mezzi corazzati, reparti germanici riuscirono a salire verso Marzana anche con camion e autoblinde. Preavvertiti dalla sera precedente dell’afflusso nella zona di ingenti truppe nemiche, già nel corso della notte i partigiani della “Pio Borri” evacuarono precipitosamente il quartier generale e il campo di raccolta dei prigionieri, portandosi dietro i 53 tedeschi e fascisti che vi erano internati. Di primo mattino iniziò il fuoco dei mortai tedeschi da Monte Favalto in direzione di Marzana. Con il nemico che risaliva le alture da Palazzo del Pero e da Lippiano, l’unica via di fuga fu lungo il crinale verso Piantrano. Da lì i partigiani attraversarono la valle dell’Aggia e risalirono a Mucignano. In serata trovarono rifugio nel bosco di Malanotte, temendo però di essere irrimediabilmente circondati. Invece riuscirono a trovare un passaggio lungo il torrente e a incamminarsi verso la Valdichiana. Si portarono dietro il folto gruppo di prigionieri legati tra loro e costretti, sotto minaccia di esecuzione sommaria, a mantenere il più assoluto silenzio. Il 4 luglio il reparto partigiano – una dozzina di uomini con il dott. Herbert Gottschalk, direttore del campo di Marzana – raggiunse Cortona appena liberata e, accolto festosamente dalla popolazione, consegnò i prigionieri agli Alleati.

A Marzana, caduta in mano ai tedeschi, si erano vissuti momenti drammatici. Non tutta la popolazione si era messa in salvo. Tobia Buzzini, che da tempo collaborava con le bande facendo la spola per i rifornimenti tra il suo negozio e Lippiano, venne ucciso sulle scale di casa insieme a un partigiano padovano. Inoltre nel locale del quartier generale adibito a ospedale fu rinvenuto il corpo carbonizzato di un prigioniero lì lasciato perché non trasportabile; pare si trattasse del fascista, di nome Giacomo, ferito il 25 giugno nell’agguato di Ronti al camion germanico. I rastrellatori, forse ritenendolo un partigiano, lo cosparsero di benzina e lo bruciarono vivo. I tedeschi presero per ribelle, uccidendolo, anche Antonio Pozzoli, di Fighille (Citerna): s’era rifugiato su quei monti con i suoi buoi, sperando di sfuggire alla guerra che stava per investire la valle.

Non è facile quantificare, oltre alle vittime civili, le perdite subite dalle formazioni partigiane nel corso di quel rastrellamento, che toccò un’area molto vasta. Prendendo in considerazione gli scontri avvenuti dal 30 giugno al 1° luglio, Antonio Curina parla di 11 morti. Giovanni Verni è ancora più dettagliato, con 11 morti, 4 feriti e 9 dispersi.

Concluso il rastrellamento, i partigiani tornarono immediatamente a Marzana, sebbene reparti germanici circolassero ancora nella zona. In quei giorni si distinse un gruppo di una ventina di russi, ex-prigionieri dei tedeschi che avevano in un primo momento accettato di combattere per loro, per poi disertare, appena in Italia, e aggregarsi alle bande alla macchia. Combattendo insieme a Spinabeto (Monterchi), presso il torrente che sbocca a Padonchia, partigiani russi e italiani, tutti ben armati, sorpresero da posizione favorevole un reparto germanico, che subì diverse perdite.

L’offensiva anti-partigiana avrebbe accelerato il ricongiungimento delle bande con gli Alleati che avanzavano e, di fatto, la conclusione della loro funzione militare di resistenza armata dietro le linee germaniche. Come vedremo, parte degli umbri della “Pio Borri” smobilitarono intorno al 4 luglio, epoca della liberazione di Cortona. Altri restarono nella valle del Nestoro, dove attesero l’arrivo della 4a divisione indiana; parteciparono a qualche scontro a fuoco e, soprattutto, in virtù della loro conoscenza della zona, si resero disponibili per rischiose azioni di pattuglia e come guide e informatori.

 

Per il testo integrale, con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.