Soldati gurkha sull’Alpe di Catenaia (foto Imperial War Museum).
Direttrici dell'avanzata alleata.
L'Alpe di Catenaia da meridione.
L'Alpe di Catenaia da est.
Le linee di difesa tedesche in una loro mappa.

Operazione Vandal: battaglie di Monte Filetto e Monte Altuccia

Operazione Vandal. Gli schieramenti

Agli Alleati, pronti ormai ad aggredire l’imponente sistema difensivo germanico sulla Linea Gotica, si poneva la necessità di cacciare il nemico dai restanti punti di forza a ridosso di essa. L’offensiva per costringerlo a ritirarsi dal Prato Magno, dal Casentino e dall’Alpe di Catenaia prese il nome di Operazione Vandal.

Il compito di risalire il Casentino, scardinare le difese tedesche a Falciano e Subbiano, sul versante occidentale dell’Alpe di Catenaia, e occupare il massiccio del Prato Magno spettava alla 4a divisione indiana. Contemporaneamente la 10a doveva attestarsi sull’Alpe di Catenaia, per poi scendere a Bibbiena. Proprio la conquista di Bibbiena, in Casentino, veniva considerata un passo essenziale per il successivo attacco alla Linea Gotica. Il punto di saldatura tra le due divisioni era presso Galbino.

Per la 10a divisione, l’offensiva verso l’Alpe di Catenaia rappresentava un’operazione militare di maggiore spessore rispetto a quelle condotte fino ad allora lungo l’Alta Valle del Tevere. Il generale Richard McCreery, comandante del X Corpo d’Armata alleato, ordinò un attacco frontale, da condursi “con tutta la rapidità possibile, così che l’avanzata in un punto permettesse di aggirare le difese tedesche in un altro”. Solo così sarebbe stato possibile superare le difficoltà frapposte da un territorio aspro e montagnoso, privo di qualsiasi via di comunicazione, che offriva ai tedeschi una sequenza di vantaggiose posizioni difensive. Le truppe indiane arrivavano comunque ben preparate al difficile cimento. Proprio i combattimenti di luglio sulle alture altotiberine avevano rappresentato “un inestimabile addestramento”, soprattutto per l’esperienza acquisita “nella ricognizione in profondità, nelle marce notturne, negli attacchi improvvisi e nelle tattiche di sorpresa”. Base dell’attacco all’Alpe di Catenaia, affidato alla 20a brigata indiana, era il crinale del castello di Montauto. La 25a fu dislocata nel tratto di fronte tra Anghiari e Galbino per liberare nell’assalto tutte le risorse della 20a. A protezione del fianco destro della 10a divisione, rimase in Valtiberina la 9a brigata corazzata. Ruolo essenziale spettava alla 10a Indian Divisional Engineers: la completa mancanza di strade da Montauto all’Alpe di Catenaia rendeva assolutamente indispensabile aprire piste per muli, per jeep e per carri armati man mano che l’avanzata progrediva, così da poter trasportare rifornimenti in tempo utile; e ciò doveva essere fatto in un contesto naturale avverso, su fianchi collinari molto scoscesi.

A difesa dell’Alpe di Catenaia vi era la 305a divisione tedesca, che già la notte del primo agosto aveva ricevuto l’ordine di ritirarsi dalla “linea ritardatrice” Karin (da Subbiano a Campalla) alla Lydia, sulle alture più meridionali del massiccio (Poggio Pianale, Falciano, Colle Santa Margherita). Dei suoi tre reggimenti, il 578° Grenadier Regiment fu dislocato a ovest, nel settore della 4a divisione indiana; il 577° si pose alla sua sinistra, verso il Catenaia, il 576° su Monte Filetto, Monte Altuccia e Monte Castello. A supporto vi era il 305° battaglione genieri, per il lavoro su strade e sentieri.

La pressione delle pattuglie indiane e l’intensa ricognizione aerea alleata avevano già messo in allerta i tedeschi su un possibile attacco nemico. Tuttavia lo ritenevano più probabile sul versante occidentale dell’Alpe di Catenaia, dalla parte dell’Arno, per la presenza di “sentieri e mulattiere accessibili a jeep e mezzi cingolati fino a quote alte”.

 

Battaglia di Monte Filetto e Monte Altuccia

Alle 21.45 del 3 agosto i reparti della 20a brigata attraversarono il Soara e cominciarono a risalire la montagna. Il cielo era coperto, l’aria afosa. Già prima della mezzanotte i maratha raggiunsero Punto 941. Rispettare i tempi previsti per l’ascesa richiese ai soldati indiani “uno sforzo fisico tremendo”. Si legge in uno dei volumi sulla storia della 10a divisione: “Il suolo argilloso era instabile e non permetteva solidi punti d’appoggio. I fitti arbusti costringevano a continue deviazioni. Fortunatamente il nemico aveva concentrato il grosso delle sue truppe sui crinali più alti []”.

maratha avevano di fronte il secondo battaglione del 576° Grenadier Regiment, nei cui avamposti militavano molti slovacchi senza esperienza di combattimenti notturni. Furono colti di sorpresa a un paio di chilometri ad est di Poggio della Traversa e subirono l’attacco alla baionetta dei maratha, che aprirono la breccia fino a Colle Santa Margherita (quota 1201), conquistandolo alle 2.15 del mattino. Il forte fuoco di sbarramento delle mitragliatrici Spandau e dei mortai tedeschi che si abbatté sugli attaccanti ne mise fuori combattimento una ventina e colpì anche il quartiere generale al seguito e la colonna di muli che trasportavano rifornimenti.

In quel frangente, comunque, le caratteristiche del terreno permisero un’ulteriore avanzata dei maratha, perché la serie di creste e di gole boscose fornì loro provvidenziali opportunità di riparo e costrinse i tedeschi ad arroccarsi sul crinale più elevato, dove si disposero in un fitta trama di postazioni di mitragliatrici, di mortai e di artiglieria. Così, all’alba del 4 agosto, anche Monte Filetto cadde in mano degli indiani, che alle 9.30 erano saldamente in possesso del settore meridionale del massiccio.

Il primo obbiettivo era raggiunto e i maratha avrebbero potuto fermarsi lì. Invece vollero sfruttare il momento favorevole e continuarono l’offensiva. A sera, verso le 18.50, conquistarono anche Monte Altuccia. A quel punto, mentre una compagnia rimaneva a presidio, l’altra proseguì lungo il crinale verso la cima più elevata, Monte Castello, attestandosi alle sue pendici. In tarda serata vennero consolidate le posizioni conquistate. Nonostante perdite definite “pesanti”, l’assalto notturno aveva colto di sorpresa i tedeschi, facendo loro abbandonare posizioni importanti. Il compito dei maratha era al momento concluso; scoccava l’ora dei gurkha, già concentrati a Monte Filetto.

Intanto procedeva con brillanti risultati l’epico lavoro dei genieri anglo-indiani. Avviato verso la mezzanotte del 3 agosto, dopo che squadre di ricognizione al seguito degli attaccanti avevano riportato le informazioni necessarie, era stato portato avanti di gran lena durante la notte, rischiarata dalla luna piena. La pista per muli riuscì a tenere il passo dei fanti all’attacco. La pista per jeep alle ore 6 del 4 agosto aveva attraversato il Soara e, sviluppandosi poco sotto quella per muli, alle ore 16 era già avanzata per 4.200 metri fino al suo primo capolinea. Lì si allestì un’area-manutenzione per jeep; lungo il percorso erano inoltre in funzione punti di rifornimento di acqua e di materiale vario. Per quanto tale strada non avesse raggiunto la linea del fronte, era comunque tanto avanti da fornire alla fanteria, già ben approvvigionata dai muli, quanto le abbisognava. Alle ore 20 di quel giorno, inoltre, un’altra compagnia di genieri fu in grado di far arrivare anche il primo reparto di carri armati al capolinea delle jeep: era la terza pista che si inerpicava su per il monte mentre infuriava la battaglia. Le fonti britanniche esaltarono l’impresa: “La pista seguì vecchi sentieri lungo erti pendii, insinuandosi dentro a gole, risalendo il letto di ruscelli montani, fino a raggiungere il fronte di combattimento, 6 miglia [oltre 9 km e 600 metri] più su del Sovara, all’altitudine di 3.700 piedi [circa 1.128 metri] sopra la valleI caterpillar, i picconi, le pale e l’esplosivo dei genieri ebbero ragione di macigni giganteschi, di sporgenze rocciose, di superfici friabili, di fitte foreste e di macchie di boscaglia”.

Il comando britannico si chiese come mai i tedeschi non avessero tentato alcun contrattacco in quelle prime 24 ore di combattimenti. Lo spiegarono da un lato con l’efficacia dell’attacco a sorpresa della 20a brigata, dall’altro con la scarsa visibilità che, per il peggioramento delle condizioni atmosferiche, doveva aver ostacolato una migliore analisi della situazione. Inoltre ritennero che la mancanza di adeguate vie di comunicazioni avesse ostacolato anche il nemico. La difesa germanica si era infatti fondata sull’intensità del fuoco di sbarramento di artiglieria, mirato in particolar modo sull’immediata retrovia della prima linea: sul settore del King’s Own piovvero il 4 agosto 600 granate; sui gurkha, soltanto nelle ore del giorno, almeno un migliaio.

In campo tedesco, il cedimento del battaglione attestato su Monte Filetto creò allarme nello stato maggiore. Si correva il rischio che gli Alleati sfondassero le difese sull’Alpe di Catenaia e giungessero troppo presto a ridosso della Linea Gotica. Il feldmaresciallo Kesselring si espresse con toni forti: “Le truppe devono essersi addormentate! Non riesco a capire! Gli altri correvano su per montagne senza strada né sentieri! I nostri devono essere scappati via!”. In realtà quella defaillance poteva essere spiegata con l’inesperienza del 576° reggimento, reparto di recente costituzione, e con la sottovalutazione delle forza degli attaccanti, soprattutto dopo che in quel settore del fronte era stata schierata la 10a divisione indiana. Né i tedeschi avevano messo in conto l’impatto prodotto sulla battaglia dalla costruzione della pista per jeep; mossa, da loro non prevista, “che risolveva al nemico il problema dell’approvvigionamento sulle montagne”. Si trattava comunque di intervenire subito, prima che succedesse l’irreparabile. Lo stato maggiore fece immediatamente affluire di rinforzo il battaglione fucilieri della 305a, il battaglione di ricognizione della 114a Jäger Division (che era in Valtiberina), il 2° battaglione del 3° reggimento “Brandenburg” e il 2° battaglione del 104° reggimento della 15a Panzer Grenadier Division, che sarebbe giunto da Chitignano la mattina del 5 condotto personalmente dal comandante di divisione.

 

Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.