Combattimenti sull’Alpe di Catenaia in un disegno di un ufficiale britannico.
Direttrici dell'avanzata alleata.
Soldato gurkha all'assalto con il suo kukri.

Operazione Vandal: la battaglia di Monte Castello

La battaglia di Monte Castello

Nella notte dal 4 al 5 agosto, i gurkha si mossero verso Monte Castello. Benché la fitta boscaglia facesse loro smarrire la direzione nell’ascesa, raggiunsero l’obbiettivo e lo conquistarono, dopo un duro scontro, intorno alle 11.30 del 5 agosto. Sullo slancio continuarono l’avanzata per attestarsi anche sul Sasso della Regina, a nord-ovest. Ma i tedeschi, dopo l’iniziale sbandamento, si erano riorganizzati e si difesero tenacemente. Così apparve lo scenario ai britannici: “Una stretta lingua di terra sulla sommità congiungeva Monte Castello a Sasso della Regina, ma ai lati pareti a strapiombo facevano di quest’ultimo un ostacolo formidabile, inaccessibile ai carri armati”. Su quel fortilizio naturale erano arroccati i granatieri della 15a Panzer Grenadier Division.

Il 5 agosto, giornata cupa e piovosa, con scarsa visibilità, i tedeschi rafforzarono le loro difese sul massiccio per tamponare la falla. La 305° divisione ricevette un ordine perentorio: non si ammetteva alcuna ulteriore ritirata. L’artiglieria germanica sparò 65 tonnellate di proiettili, circa tre quarti della dotazione complessiva di munizioni, e 11 tonnellate di granate. Il suo obbiettivo era “proteggere bene i fianchi e far fuoco sulla prima linea”. Questo pesantissimo bombardamento di interdizione costrinse i gurkha sulla difensiva a Monte Castello e sulle prime rampe del Sasso della Regina. Inoltre le cattive condizioni atmosferiche condizionarono negativamente sia l’approvvigionamento della 20a brigata, sia le operazioni aeree contro le comunicazioni germaniche.

L’avanzata dei gurkha fino a quel punto non avrebbe avuto alcun esito positivo senza lo “sforzo eroico” dei genieri. Il loro arduo e pericoloso lavoro riuscì a prolungare la pista per jeep. Alle ore 16 del 5 agosto raggiungeva quota 1.087 e formava il secondo capolinea, 3.200 metri oltre il precedente. Alle ore 7 del giorno dopo si sarebbe insinuata per un altro tratto di quasi due chilometri e mezzo fin verso la sommità di Monte Filetto. Di pari passo progrediva la pista per i mezzi corazzati ma, per i forti temporali, “divenne così scivolosa che i carri armati non riuscirono a risalire le ripide pendenze”.

Nella notte dal 5 al 6 agosto tre compagnie di gurkha si prepararono all’attacco del Sasso della Regina. Una quarta, con le mitragliatrici dei Northumberland Fusiliers, rimase a difesa di Monte Castello, dove si trovava il quartier generale tattico. Ma l’assalto fu sospeso: un prigioniero appena catturato rivelò che il Sasso della Regina era presidiato da 400 tedeschi, la qual cosa consigliava una revisione del piano previsto.

Fu in quel mentre che un contrattacco germanico colse le truppe indiane di sorpresa. Dopo un forte bombardamento preparatorio, circa 300 tedeschi – reparti freschi, armati anche di bazooka, appena giunti di rinforzo sul Sasso della Regina – aggirarono le tre compagnie di gurkha pronte per sferrare l’offensiva e piombarono su Monte Castello, alle loro spalle. Quando aprirono una breccia tra le postazioni di mitragliatrici dei Northumberland Fusiliers, minarono l’intero schieramento anglo-indiano. Se fossero riusciti a riconquistare Monte Castello, avrebbero messo in crisi l’intera Operazione Vandal. Il colonnello Somerville ordinò dunque via telefono a due delle tre compagnie di gurkha appostate presso il Sasso della Regina di tornare sui loro passi, in aiuto ai commilitoni in difficoltà.

Resoconti britannici aprono qualche squarcio sullo spietato combattimento che divampò mentre cominciava a farsi giorno: “Gli impavidi montanari [i gurkha], impugnando i kukri e urlando i loro gridi di battaglia, corsero in aiuto dei loro fratelli in pericolo. Per qualche minuto il bosco divenne un inferno. Alcuni tedeschi si dettero alla fuga; quelli che tentarono l’impossibile cimento di fronteggiare i gurkha all’arma bianca, ebbero le teste mozzate. Poi lo scontro si protrasse nel bosco per quattro ore, con i soldati indiani furiosamente all’attacco brandendo il kukri”. E ancora: “I gurkha tornarono sui loro passi, e muovendosi silenziosi al buio, accerchiarono e intrappolarono i tedeschi. La luce del giorno illuminò una scena paurosa. I montanari persero completamente la testa, combattendo all’ultimo sangue, balzando da dietro gli alberi, da dentro il sottobosco. Urla echeggiarono nella boscaglia, quando i tedeschi in fuga venivano atterrati; altri si inginocchiarono nelle radure chiedendo pietà. Pochi sfuggirono e per anni a venire i boscaioli in estate avrebbero scorto, celati tra felci e rovi, ossa umane, muta memoria di un rapido e terribile castigo”. Quel campo di battaglia sarebbe stato percorso qualche mese dopo da alcuni capresani: Quando cominciò il disgelo, monsignor [Tersilio] Rossi, coadiuvato da un gruppo di giovani, realizzò il proprio cristiano intento di sottrarre allo scempio degli animali selvatici le salme rimaste insepolte. Il gruppo percorse i boschi in lungo e in largo, ispezionando gli anfratti e i punti meno accessibili. Furono raccolti, identificati e sepolti i resti di 32 soldati tedeschi, ma nonostante l’accuratezza delle ricognizioni, qualche salma sfuggì ai ricercatori”.

 

L’Operazione Vandal si arena

Nonostante l’insuccesso del contrattacco su Monte Castello, non si incrinò la difesa germanica sulla roccaforte del Sasso della Regina. Il gen. Von Vietinghoff-Scheel ordinò di resistere con estrema decisione su quella posizione, per impedire che gli alleati dilagassero verso Monte Foresto e Chiusi della Verna.

La nuova offensiva delle truppe indiane contro il Sasso della Regina ebbe inizio al tramonto del 6 agosto. La sera stessa erano tornati in prima linea i maratha, per dare il cambio agli esausti gurkha. I maratha furono contrastati duramente sia sul versante occidentale, sia su quello orientale del crinale. Quando, verso le 3 del mattino del 7 agosto, riuscirono a raggiungere il Sasso, subirono ai fianchi il fuoco tedesco e finirono con il trovarsi a corto di munizioni per i continui contrattacchi nemici, al punto di doversi difendere alla baionetta. Dopo meno di un’ora, furono costretti a ripiegare su Monte Castello. Alla ritirata dei maratha concorse dunque il successo della difesa aggressiva dei tedeschi, che seppero così impedire l’afflusso di “un tasso sufficiente di rifornimento di munizioni” verso la linea del fronte.

A quel punto vi fu una pausa nei combattimenti. Entrambi gli schieramenti pensarono soprattutto a consolidare le posizioni. I tedeschi inviarono sul Sasso della Regina ulteriori rinforzi. Così facendo, però, indebolirono le difese sul versante casentinese dell’Alpe di Catenaia e dettero l’opportunità al nemico di attestarsi a Falciano, sopra Subbiano. La 20a brigata indiana, per quanto respinta dal Sasso, era ormai saldamente attestata sull’Alpe di Catenaia, pronta a sferrare l’attacco decisivo per la conquista dell’intero massiccio.

In tale prospettiva venne portata a compimento la rete viaria costruita a tempo di record dalla 10a Indian Divisional Engineers. Il principale sforzo dei genieri fu dedicato all’allargamento della strada per jeep, al miglioramento della sua superficie e alla riduzione delle pendenze: “A mezzogiorno del 7 agosto erano stati completati in 66 ore sei miglia di strada di alta classe”. Quella pista per jeep e rimorchi scendeva per poco più di due chilometri e mezzo da Montauto al Sovara e poi risaliva per altri 7 chilometri fino all’altitudine di 3.750 piedi; complessivamente aveva affrontato un dislivello di 814 metri. Gli otto chilometri della pista per carri armati erano stati completati da tre plotoni della divisione in appena 36 ore nelle prime fasi della battaglia, fino all’altitudine di 1.087 metri.

Tuttavia i tempi del proseguimento dell’offensiva su questo tratto del fronte erano destinati a dilatarsi. Il 10 agosto un significativo cambiamento della strategia degli Alleati ne determinò l’interruzione. Si stavano infatti progettando due nuove mosse strategiche destinate a riflettersi anche sullo scacchiere altotiberino. L’Operazione Dragoon, che il 15 agosto portò allo sbarco degli Alleati sulle coste della Francia meridionale, distolse risorse militari dal fronte italiano. Il rammarico fu soprattutto dei britannici, che, a differenze degli americani, spingevano per una rapida avanzata sulla Penisola. Inoltre l’Operazione Olive, programmata per aggredire la Linea Gotica dal 25 agosto con un imponente attacco sul lato adriatico delle difese tedesche, richiese lo spostamento dal Casentino verso la zona costiera della 4a divisione indiana. La 10a, già duramente impegnata sull’Alpe di Catenaia, dovette anche assumere la responsabilità del tratto di fronte lasciato dalla 4a. La consistente riduzione di forze portò inevitabilmente alla conclusione dell’Operazione Vandal. Più che attaccare con decisione, la 10a divisione avrebbe difeso le posizioni acquisite, mantenendo comunque una costante pressione per costringere i tedeschi a un progressivo ritiro.

Il dispiegamento della 10a divisione sui massicci montuosi dall’Alpe di Catenaia al Prato Magno iniziò l’11 agosto. Ma gli Alleati fecero in modo di dissimulare le loro intenzioni difensive: “Per nascondere la sospensione dell’offensiva, l’artiglieria e le truppe corazzate continuarono a mostrarsi attivi e fu intensificata l’attività di pattuglia”. Sulle cime dell’Alpe di Catenaia rimase la 20a brigata indiana, alla quale il 17 agosto subentrò la 25a. Questi reparti tornarono a fare ricorso alla tattica fondata sulla flessibilità e sulla gradualità, già praticata precedentemente con successo nella valle. Il generale Reid raccomandò di procedere passo dopo passo, incessantemente. Ogni volta che una pattuglia si infiltrava nello schieramento nemico, un plotone al seguito doveva occupare la posizione, senza dare molto nell’occhio; la notte successiva sarebbe intervenuta la compagnia a consolidare la posizione, quindi l’intero battaglione. A quel punto le pattuglie potevano tentare nuove penetrazioni.

 

Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.