Cartolina propagandistica dell’alleanza fra fascismo e nazismo.
Repressione delle attività anti-tedesche.

L’offensiva tedesca e lo strumento delle rappresaglie

Con la fine dell’inverno, il consolidamento delle bande partigiane e l’intensificarsi della loro attività avrebbe indotto i tedeschi a dispiegare una ampia e organica azione repressiva. La direttiva di Kesselring del 12 gennaio 1944 creò le premesse per un suo salto di qualità. L’inflessibilità di Hitler, che esigeva l’annientamento di ogni forma di resistenza senza lasciarsi imbrigliare dalle convenzioni e dalle norme del diritto internazionale, indusse Kesselring a suggerire ai subalterni una certa cautela a livello formale: “1, Per validi motivi, in occasione di eventuali catture di ostaggi il concetto di ‘ostaggio’ non deve più essere utilizzato pubblicamente, per esempio nei comunicati diffusi a mezzo stampa o per radio ovvero nei manifesti e volantini. 2, L’uccisione di ostaggi non deve essere resa nota”. Come ha rilevato Lutz Klinkhammer, tali disposizioni crearono i presupposti per legittimare “la brutalità della controguerriglia”, accrescendo l’arbitrarietà dei reparti preposti alla repressione; si finiva con il dare una possibilità di libero sfogo a “una enorme carica di violenza e nel caso di alcune unità [a] una assai triste assuefazione alla stessa”.

All’inizio di aprile 1944 l’alto comando della Wehrmacht decise di scatenare un’offensiva contro i movimenti partigiani attivi nei territori occupati dai tedeschi. Ordinò interventi in grado di estirpare in modo radicale il fenomeno, recidendo i cordoni ombelicali che legavano le bande alle zone di appartenenza.

Il feldmaresciallo Albert Kesselring il 7 aprile tradusse tali raccomandazioni in dettagliate regole di comportamento per i subalterni. Li spronò ad adottare la massima risolutezza: “Il primo comandamento è l’azione vigorosa, decisa e rapida. Chiamerò a rendere conto i comandanti deboli e indecisi, perché mettono in pericolo la sicurezza delle truppe loro affidate e il prestigio della Wehrmacht tedesca”. Kesselring dette precise indicazioni su come tutelare la sicurezza delle truppe contro agguati e attentati: “Durante la marcia, nelle zone ove vi sia pericolo di partigiani tutte le armi dovranno essere costantemente pronte a sparare. In caso di attacco aprire immediatamente il fuoco, senza curarsi di eventuali passanti”. Inequivocabili le disposizioni riguardo alla repressione: “Tutti i comandanti responsabili devono usare la massima durezza nella persecuzione. […] I comandi di piazza locali dovranno rendere noto che alla minima azione contro i soldati tedeschi verranno adottate le contromisure più drastiche. Ogni abitante del luogo dovrà essere avvertito di ciò, nessun criminale o fiancheggiatore può aspettarsi clemenza”. Il comandante in capo delle forze tedesche in Italia pose le basi per rappresaglie contro la popolazione: “In caso di attacchi bisogna immediatamente circondare le località in cui sono avvenuti; tutti i civili, senza distinzione di stato e di persona, che si trovano nelle vicinanze saranno arrestati. In caso di attacchi particolarmente gravi, si può prendere in considerazione anche l’incendio immediato delle case da cui si è sparato”. Kesselring volle pure rassicurare i suoi ufficiali che in nessun modo li avrebbe chiamati in causa per una loro eccessiva severità: “Un modo di procedere troppo energico non sarà mai riconosciuto nell’attuale situazione quale motivo idoneo a determinare una responsabilità sanzionabile”. E ancora: “La punizione immediata è più importante di un rapporto immediato”. Di lì a poco tempo il feldmaresciallo avrebbe ribadito il concetto con estrema chiarezza: “La lotta contro i partigiani deve essere combattuta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità. Io proteggerò quei comandanti che dovessero eccedere nei loro metodi di lotta ai partigiani. In questo caso vale il vecchio detto: meglio sbagliare la scelta del metodo, ma eseguire gli ordini, che essere negligenti o non eseguirli affatto”.

Due settimane dopo il maggiore Hermann, comandante delle unità tedesche preposte alla repressione anti-partigiana, avrebbe ribadito al Capo della Provincia Armando Rocchi che le sue truppe avevano l’ordine di condurre la lotta “con la massima durezza ed energia”, perché si considerava vitale “tener libere da ogni interruzione le retrovie sulle quali transita[va]no i rifornimenti per le truppe combattenti sul fronte italiano”. Hermann fu molto esplicito riguardo all’eventualità di eccessi: “Non si potranno evitare abusi da parte dei reparti dipendenti, data l’ampiezza dei compiti, la vastità del territorio e la tattica piena di insidie delle bande stesse”.

Gli ordini emanati da Kesselring il 7 aprile potevano essere interpretati dagli ufficiali tedeschi più spietati come una “cambiale in bianco” per infierire contro la popolazione nei territori frequentati dalle bande. Di fatto legittimarono le truppe germaniche ad agire senza particolari scrupoli morali. Del resto la peculiare abilità dei partigiani di sfuggire all’accerchiamento, trasferendosi altrove, lasciava la gente del posto in balia dei reparti germanici, che talora si accanivano contro vittime innocenti proprio per l’esito frustrante dei rastrellamenti. Scrive Klinkhammer: “Furono soprattutto unità delle SS e altre formazioni di élite quelle che si ‘distinsero’ per la particolare brutalità e crudeltà nella repressione della guerriglia, ma che colpirono la popolazione civile innocente e disarmata assai più crudelmente di quanto non riuscissero a infliggere perdite a gruppi partigiani […]”.

Con l’intento di preavvisare la popolazione, specie rurale, dei gravi rischi che correva in seguito all’intensificazione della lotta al movimento partigiano, venne diffuso un volantino che portava la firma del “comandante supremo delle truppe tedesche”. Dopo un preambolo dai forti toni propagandistici (Italia occupata dagli Alleati ridotta alla fame e piagata dalle malattie, uomini trascinati ai “lavori forzati” nelle miniere inglesi, donne e giovinette “violate dai negri e dai marocchini”, bambini deportati in Russia), il volantino proclamava l’intento di voler eliminare le bande “senza pietà” e disponeva minacciosamente: “Chi conosce il luogo ove si trattiene una banda e non ne dà immediata comunicazione all’esercito germanico verrà ucciso mediante fucilazione! Chi concede asilo o nutrimento ad una banda od a dei singoli banditi verrà ucciso mediante fucilazione! Ogni casa nella quale verrà trovato un bandito, o nella quale si sia trattenuto certamente un bandito sarà fatta saltare in aria! Lo stesso accade con ogni casa dalla quale viene sparato su gli appartenenti alle FF. AA. Germaniche. In tutti questi casi vengono bruciate le provviste di fieno, paglia e di viveri, il bestiame viene sequestrato e gli abitanti vengono uccisi mediante fucilazione!”.

Che non si trattasse di vuote minacce la popolazione altotiberina se ne sarebbe resa conto per quanto avvenne in quei giorni in territori limitrofi alla valle. Nel corso di un rastrellamento sull’Appennino tosco-romagnolo, vennero uccise 30 persone a Fragheto, presso il Monte Fumaiolo. Era il 7 aprile, quindi prima ancora che fossero noti gli ordini di Kesselring. Poi, il 13 aprile, la strage di Vallucciole, in Casentino, con 108 vittime.

Una relazione del comando generale dell’Arma dei Carabinieri dell’immediato dopoguerra, riguardante anche la parte toscana della valle, fa risalire proprio all’aprile 1944 il radicale inasprimento dell’azione repressiva germanica. Fino a quell’epoca il contegno dei tedeschi verso la popolazione era stato definito “abbastanza corretto”. Si legge nel documento: “Fu, invece, dai primi di aprile c. a. che le truppe medesime, in seguito all’uccisione o al ferimento di militari tedeschi, alla scomparsa di materiali militari, ed atti di sabotaggio agli impianti telefonici, telegrafici ed alle vie di comunicazioni da parte di patrioti, presero ad infierire brutalmente con rappresaglie di ogni specie verso i civili innocenti abitanti nelle zone dove si erano verificati i fatti predetti”.

Foriero della dura repressione fu l’insediamento presso Perugia del “massimo organismo di sicurezza e polizia in Italia centrale”, comandato dall’Oberführer delle SS e capo della polizia Karl Heinz Bürger. L’alto ufficiale ebbe a disposizione forze ingenti e appositamente addestrate alla lotta anti-partigiana, tra cui il 20° reggimento di polizia delle SS e il 2° battaglione del 3° reggimento “Brandenburg”. Come scrive Leonardo Varasano, “a Perugia si forma un SS-Aussenkommando, il comando di polizia delle SS, e nasce il Lehrstab für Bandenbekämpfung, centro di addestramento per la lotta alle bande, poi attivo pure in Toscana”. L’azione repressiva tedesca prese l’avvio nel meridione dell’Umbria, investendo il territorio operativo della Brigata “Gramsci”. Poi i rastrellamenti si spostarono progressivamente verso nord, fino a interessare l’Alta Valle del Tevere all’inizio di maggio.

 

Per il testo integrale, con le note e le fonti delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.