Slogan fascisti in quaderni scolastici.
Angelo Gambuli militare in Sicilia.

L’Italia entra in guerra

Pochi mesi dopo aver scritto queste parole, Angelo vide avverarsi i peggiori timori. Nel settembre 1939 la Germania nazista avviò la seconda guerra mondiale. Non sappiamo come Angelo abbia vissuto il deteriorarsi dello scenario internazionale, fino all’ingresso nel conflitto dell’Italia, nel giugno 1940. All’epoca aveva già iniziato a insegnare lettere al ginnasio-liceo di Città di Castello. La Federazione Fascista Umbra chiamò a raccolta gli intellettuali per conferenze di propaganda patriottica. Anche Angelo fu tra i relatori. Si conservano i testi delle sue conferenze tra 1939 e 1940. A parte la prima, centrata su Mussolini e sull’intervento nella Grande Guerra, le altre riguardarono temi storici e letterari, avulsi dal drammatico contesto internazionale del momento ed ebbero come relatori Luigi Pillitu, mons. Enrico Giovagnoli, Rodolfo Palazzeschi, Aldo Martinelli, Gustavo Bioli, Giuseppe Norcio, don Giuseppe Malvestiti e Guido Meroni.

L’esperienza di insegnamento di Angelo durò poco. Il 5 luglio 1941 fu chiamato alle armi. Il 22 marzo di quell’anno aveva regalato al padre, per il suo compleanno, due libri che mettevano a confronto la civiltà italiana e quella inglese, “due diverse nazioni – scrisse – oggi in lotta accanita fra di loro”. Volle preliminarmente chiarire la sua idea di civiltà: “Per Civiltà intendo il raggiungimento di quel modo di vita in cui l’uomo potrà realizzare, conscio di tutte le sue facoltà fisiche e spirituali, quell’equilibrio morale, religioso, economico e politico che dovrà basarsi nell’assoluta libertà di coscienza e nella profonda educazione di ogni individuo, per cui, di fronte alle norme divine e sociali, ciascuno sia in grado di regolare i suoi bassi impulsi volgendo in ogni istante la fronte verso la meta ultraterrena”. Angelo pose dunque a fondamento della civiltà “l’assoluta libertà di coscienza” e “la profonda educazione di ogni individuo”. E sottolineò che nessun popolo poteva ergersi a unico faro della civiltà, imponendola agli altri: “Tutte le genti portano il loro contributo alla conquista della civiltà”. L’infuriare del conflitto in Europa, le cui sorte parevano ancora favorevoli alle forze dell’Asse, suscitò in Angelo una riflessione venata di crudo fatalismo: “La guerra è feroce perché ha come massima il barbaro comandamento di levar di mezzo l’avversario togliendogli la possibilità di resurrezione. […] Siamo ancora molto lontani dalla Civiltà e, di conseguenza, sotto il diritto barbarico. E sia! Solo il sangue e le lacrime ci modificheranno in meglio! Per ora la società è così, e noi, facenti parte di tale società, ne siamo tutti responsabili!”.

Poi la guerra risucchiò anche lui. Chiamato alle armi il 5 luglio 1941, rimase fino al febbraio 1942 in Sicilia per l’addestramento preparatorio ai corsi per allievi ufficiali di complemento. Fu prima a Santa Ninfa, un borgo rurale nell’entroterra di Trapani, poi a Palermo: una vita militare tranquilla, lontana dal fronte bellico, non investita da bombardamenti. Erano i giornali a informare dell’evoluzione del conflitto. In quel periodo, dopo aver già conquistato Jugoslavia e Grecia, la Germania, l’Italia e gli alleati dell’Asse erano penetrati in profondità nell’Unione Sovietica, fino alle vicinanze di Mosca e Leningrado. Si guardava al futuro con ottimismo. Scrisse Angelo nell’ottobre 1941: “Tutti sentiamo che il tracollo russo è immediato e che la situazione sta chiarendosi sempre in meglio”. E nel dicembre di quell’anno, quando il Giappone attaccò la flotta americana a Pearl Harbor, allargando il conflitto all’oceano Pacifico, annotò: “La novità del giorno ha impressionato un po’ tutti. La guerra del Giappone è l’aprirsi di un’altra fase del terribile fenomeno in corso. Certo per noi il vantaggio è palese. Le ingenti forze anglo-americane del Pacifico sono ormai paralizzate e messe nell’impossibilità di intervenire contro l’Asse. È anche molto probabile che questo intervento acceleri la fine della guerra”. Pareva dunque che si stesse avverando la promessa del regime fascista di una guerra vittoriosa.

A parte l’ottimismo di fondo e una certa vena patriottica, non si leggono mai nelle numerose lettere di Angelo espressioni belliciste, nazionalistiche o comunque contaminate dalla pervasiva propaganda allora imperante. Da convinto credente, il suo abbandono alla volontà divina è totale: “Quante vittime vorrà ancora questo immane conflitto? Che Dio guardi e illumini tutti!”; “Bisogna sempre affidarsi alla protezione divina e ringraziare la Provvidenza!”; “Dio guiderà gli eventi e il corso degli uomini, e darà un significato al loro sacrificio”. L’auspicio di pace è profondamente sentito: “È voto comune l’avvento di un tempo più sereno e di una chiara giustizia basata su idee costruttrici e incrollabili!”; e ancora: “Che Dio ci conceda quella pace tanto piena che solo da lui e dalle sue parole ci può derivare!”.