Gambuli in Sicilia.
Libro di testo (1942).
La famiglia italiana negli auspici del regime.

Dalla Sicilia a Zara

Nella quiete siciliana, Angelo continua a portare avanti la sua ricerca esistenziale. Avverte il dilagare di una superficialità che impedisce i “grandi sentimenti” e quell’“interrogare la coscienza” che è invece “la fonte di tante scoperte sane e belle”. Afferma: “Leggendo in noi e curandoci di quel che il cuore e l’intelligenza ci dicono ritroveremo le esigenze morali e quindi ritroveremo anche Dio. Il vertiginoso correre e il fascino superficiale della civiltà meccanica ci accecano e ci rendono vani e incapaci di giudicare ogni avvenimento sia religioso che morale e politico”. Si persuade che, paradossalmente, sarà proprio un evento tragico ed epocale come la guerra a risvegliare le coscienze e a imporre un drastico cambiamento dei comportamenti umani e della società: “Io sono convinto che l’attuale guerra è scoppiata per causa di certi tipi cupidi che non sanno mai uniformarsi alle esigenze sociali e ai diritti sacrosanti di ogni uomo. Purtroppo è l’egoismo spudorato la causa delle guerre a sfondo eminentemente sociale come la presente. Si è cercato di fare qualcosa ma si farà molto di più in seguito per estirpare certa erbaccia, vedrete! Nessuno può prevedere oggi quello che bolle in pentola. È pieno di fermenti l’attuale momento storico anche se i più, sonnecchiando, non lo pensino!”

Da febbraio ad agosto 1942 Angelo frequenta ad Arezzo il corso per allievi ufficiali. Lo scenario bellico è ancora promettente, con le forze dell’Asse di nuovo all’offensiva nell’Unione Sovietica: “Gli eventi bellici pare che procedano proprio ottimamente. Tutti guardiamo con attenzione e speranza le armate che avanzano”.

Diventato sottotenente, Angelo è inviato a Palmanova, con il compito di istruire le reclute, poi nella penisola istriana, a Pisino e a Pola. Dal 29 aprile 1943 si trova a Zara, in un reparto adibito alla difesa del territorio. Si sente ancora fortunato per la mancanza di gravi pericoli e tranquillizza a più riprese la famiglia: “Il mio reggimento presidia paesi croati, ma non in brutte zone”; “I signori ribelli non ci daranno troppo fastidio da questa parte […]. La zona nostra è senza dubbio una delle migliori”. Tutt’altro che abbrutito dalla guerra, coglie ogni opportunità di godimento culturale, sia assistendo a spettacoli teatrali, sia, soprattutto, passando “qualche ora bella con i miei filosofi e poeti”.

Nel frattempo, però, cambiano le sorti del conflitto. Per quanto attutite dalla propaganda del regime, giungono notizie preoccupanti. Nell’ottobre 1942 gli inglesi sconfiggono tedeschi e italiani a El Alamein e di lì a poco gli anglo-americani sbarcano lungo le coste algerine e marocchine. Angelo si rende perfettamente conto che può trattarsi di una svolta (“la guerra accenna a prendere altri sviluppi”) e si appiglia alle parole di Mussolini per continuare a credere in un esito vittorioso: “Il discorso del Duce ci ha fatto buona impressione: era necessario che tenesse un discorso per rintuzzare notizie allarmanti o sediziose di propaganda nemica”. Tuttavia lo scenario militare all’inizio del 1943 tende al peggio, sia sullo scacchiere russo, per la sconfitta dei tedeschi a Stalingrado, sia per l’inarrestabile avanzata degli Alleati in Africa (“la brutta e triste notizia della perdita di Tripoli mi ha messo un po’ di umore nero”).

Ad aprile gli giunge notizia della morte dell’amico Vittorio Burri in Russia e il pensiero va al tributo di sangue che la sua generazione sta pagando: “Povero ragazzo! Ormai son parecchi i miei compagni caduti. Quando finirà l’umanità di odiarsi tanto?”. Di lì a poco le forze dell’Asse subiscono la decisiva sconfitta in Tunisia. Così Angelo comunica il suo sconforto al padre: “Grande è stata la mia pena per il Bollettino di oggi. La fine della bella resistenza africana lascia male e amareggia profondamente!”.