Angelo Gambuli in foto tra il 1942 e il 1943.

Riflessioni prima del crollo del fascismo

Mentre la guerra incombe sempre più minacciosa e drammatica, nelle lettere di Angelo si aprono squarci di riflessioni filosofiche, etiche e spirituali. Alla fine di giugno 1943 commenta con il padre il “bellissimo” Discorso agli Italiani pronunciato da Giovanni Gentile, da lui letto nel “Corriere della Sera”. Dice di riconoscersi nelle parole del suo professore di università: “[…] ho ritrovato in quelle parole tutte le mie tendenze, non tutte appaganti, ma posso dire che è un discorso elevatissimo, bello e profondamente illuminante la verità delle cose”. L’illustre docente lanciava un appello all’unità a tutti gli italiani, fascisti e non fascisti. Ammetteva che potevano esserci stati errori da parte del fascismo, chiedendo però di rimandare ogni discussione a guerra conclusa; qualsiasi frattura, in quel momento storico cruciale, poteva essere letale per la Patria. Inoltre ribadiva la sua fiducia in Mussolini e la sua adesione alla visione rivoluzionaria del fascismo, espressa soprattutto nell’ideale corporativo. Non sappiamo come stessero evolvendo le idee politiche di Angelo in quel periodo bellico: certo è che nelle numerosissime lettere scritte durante la guerra non si leggono mai le parole “fascismo” e “fascista”. Del discorso di Gentile, Angelo afferma di apprezzare in particolar modo la spinta etica: “Sempre più mi accorgo che gli uomini che hanno una qualche base morale nella loro educazione, sono gli uomini che possono stare in piedi davanti alle difficoltà della vita e della politica. […]. Purtroppo oggi gli uomini di tempra sono pochini e questo soltanto fa pensare e leggermente titubare”. Ed è di “animi fermi e, una volta tanto, disinteressati e generosi” che – scrive Angelo – ci sarà bisogno per le dure lotte future.

L’Italia è ormai alle corde. Gli Alleati sbarcano a Pantelleria e a Lampedusa, necessari punti di appoggio per l’attacco alla Sicilia. Angelo si rammarica per l’“invasione lenta e crudele del nostro territorio nazionale” e rassicura la famiglia sulle sue condizioni personali: “Noi almeno qua stiamo bene e non riscontriamo alcun sintomo di cambiata situazione in peggio”. Ma una sua affermazione rivela lo stato di incertezza e di attesa in cui si viveva al fronte, con il crescente bisogno di una svolta che evitasse di piombare nel precipizio: “Abbiamo fiducia in un qualche fatto nuovo che determini una schiarita di orizzonte generale. È quello che ci vuole, perché, al punto in cui siamo, pare di essere paralizzati”.

In quella prima metà del luglio 1943 si stavano ponendo le condizioni per la sconfitta dell’Asse. Mentre l’Italia era invasa da sud, l’offensiva tedesca in Unione Sovietica era definitivamente fermata nella grande battaglia di carri armati di Kursk e le truppe di Stalin passavano al contrattacco.

Il 25 luglio 1943, la caduta del fascismo, l’arresto di Mussolini e la nascita del governo di Pietro Badoglio colgono Angelo mentre, dopo lungo tempo, è in licenza a Città di Castello. Tornato sulla costa croata, in una lettera al padre si lascia andare a considerazioni di carattere ideale e filosofico. Rivendica di aver sempre mantenuto l’equilibrio delle sue idee, cogliendo invece la mancanza di equilibrio di quelle altrui. Sostiene di aver già colto, all’epoca della sua tesi di laurea, gli errori del pensiero hegeliano. Si ripromette di tenersi ben aggiornato negli studi “anche in virtù – scrive – di un mio futuro insegnamento che voglio sia costruttivo e solido”. Ed è proprio sul suo impegno di educatore, fondato sulla tolleranza e sul rigore etico, che già si proietta con slancio: “Di una cosa prego Dio, di guidarmi nello studio ma al tempo stesso di farmi avanzare in esso senza disprezzi per altri, ma con comprensione e fermezza. Questo è il mio programma: la vita e la pratica faranno il resto!”

Non poteva ancora rendersi conto che, di lì a poche settimane, il tracollo militare italiano lo avrebbe spinto a scelte drammatiche e coraggiose, contro il fascismo che lo aveva forgiato e i tedeschi di cui era stato alleato; e a fianco del nemico contro cui aveva fino ad allora combattuto e di quei comunisti che sarebbero comunque stati, dopo la guerra, i suoi avversari politici.