Copertine della rivista fascista pubblicata per sostenere la politica razzista del regime.

Il razzismo fascista

Ormai laureato, in quello scenario di fine anni ’30 Angelo cominciava a rendersi conto che la vita sociale e culturale stava degradando in modo forse irreparabile e che tale decadimento stava frustrando le ambiziose speranze di rinnovamento propugnate dal fascismo. Continuava a lanciare i suoi strali contro il materialismo e il “positivismo massonico” che minava la ricerca spirituale nell’arte e nella moralità civica, contro il comunismo che si disinteressava della famiglia e della patria e contro l’edonismo, rivelatore di una società borghese povera di valori. Ma lucidamente intravedeva nuovi gravi pericoli, come il razzismo. L’offensiva di carattere razziale da parte del regime fu avviata tra l’estate e l’autunno del 1938. Nel marzo 1939 Angelo scrisse: “Come pretendete che un nazionalista che ama la tradizione storica e artistica del suo popolo, che quindi non può che rispettare i valori delle altre Nazioni, possa simpatizzare col razzismo, che è la negazione di tutte le patrie meno una, dopo aver ridotto questa una a canile e porcile, con allevamento razionale?”.

L’invettiva di Angelo contro il razzismo si inseriva nel contesto di una durissima critica etica, che metteva a nudo l’incapacità del fascismo di forgiare – come aveva proclamato – un italiano “nuovo” e un rinnovato spirito civico:

“Il motto ‘me ne frego’, che un giorno, poté avere un significato eroico, ora è di moda, persino in bocca alle signorine. In tutti i casi, e dovunque si presenti o un ostacolo da superare o una difficoltà da vincere o una responsabilità, sia pure lievissima, da assumere, il motto di moda torna a risuonare. Quel che si voglia dire è chiaro. Tutti, non avendo ideali, e non avendo perciò coscienza e controllo di sé, tendono ad evitare gl’incomodi. La vera e propria vita borghese trionfa in pieno […]. C’è in tutti una ricerca del godere, di quello fugace e superficiale, che si vuol raffinare in mille guise perché sia più appagante possibile. Si vuole di conseguenza sfuggire il lavoro, lo studio profondo, l’affrontare questioni e problemi d’interesse individuale e sociale. [Il motto ‘me ne frego’] vale solo a procurar l’indifferenza morale, lasciando salvi solo i soli istinti brutali […]. E, pare impossibile, la sete di quelli ricchi, invece di diminuire, aumenta. Così par di essere in un serraglio di bestie feroci delle più svariate specie, senza norme e senza leggi, con l’unico stimolo dell’istinto da sfogare”.

La realtà socie-culturale italiana appariva dunque del tutto deludente a chi, come Angelo, aveva condiviso come Balilla, Avanguardista e Universitario Fascista i sogni “rivoluzionari” del regime. Forse restava la fiducia in Mussolini: anni di culto della personalità rendevano ancora solido il mito del Duce. Ma intanto il tarlo del dubbio stava incrinando la fiducia nel regime. Una disillusione che, nel contesto del totalitarismo fascista, non poteva ancora assumere un volto politico.