Quaderno scolastico dell’epoca.
Il "catechismo" fascista.
La "cimice", distinttivo del Partito Fascista.

Prime perplessità

L’addensarsi di fosche nubi nei rapporti internazionali destano in Angelo forti preoccupazioni e gli sembra molto concreto il rischio di un nuovo gigantesco conflitto militare. Pur non rinnegando il suo patriottismo, auspica un riavvicinamento con la Gran Bretagna. Spesso, nelle lettere alla famiglia, invoca l’aiuto divino per preservare la pace. In quella del 22 marzo 1938 i toni sono accorati: “E oggi tu vedi e senti, o babbo, quanto fra gli uomini ci sia bisogno di pace e quanto grande sia il desiderio di Dio, anche se non si voglia conoscere, perché siam ciechi. Si lotta e si sanguina oggi, guardandoci come fra lupi, tutti i singoli e nazioni!”. Tanta preoccupazione è alimentata dall’incombere sulla scena internazionale della Germania nazista. Più volte Angelo dà voce alla sua forte diffidenza verso Hitler. E rivela che non si tratta solo di un’opinione personale, bensì di un sentire molto comune tra i giovani universitari. Nella primavera del 1938, commentando il dilagare a Roma di barzellette contro Hitler, si chiede perché a Città di Castello siano “così severi contro gli spacciatori di freddure anti-hitleriane”; se fossero altrettanto rigorosi nella capitale – scrive – “dovrebbero arrestare metà della popolazione”. Ma l’aggressività nazista lasciava ben poco spazio all’ironia. Chiese ai famigliari: “Che ne pensate della povera Cecoslovacchia ogni giorno di più con gli sproni della Svastica alle costole?”.

Non era solo l’alleanza tra fascismo e nazismo a suscitare perplessità. Certi comportamenti che Angelo coglieva sia nella politica, sia nelle vicende sociali e culturali, stavano alimentando in lui un palpabile disincanto. Gli sembrava evidente la “freddezza” delle attività che il regime imponeva ai giovani, curando quasi esclusivamente l’aspetto esteriore. Considerava una scocciatura il servizio premilitare obbligatorio il sabato e ne percepiva il vuoto: “Ci armarono fino ai denti e ci fecero fare istruzioni più o meno stupide, lungo i viali della città universitaria”. Nel raccontare un saggio ginnico al Foro Mussolini, commentò severamente gli esercizi di scherma con il pugnale: “Quei giochi se non siano affiancati da una educazione spirituale soda aprono diretto il cammino alla delinquenza”. Si rendeva conto che la propaganda del regime stava pericolosamente invadendo l’ambito accademico (“qualche professore cerca di incantarci con le sue frottole”) e provò repulsione per le degenerazioni ideologiche: “Il professore di cultura militare, da poco promosso generale, con le sue teorie troppo spiccatamente militaristiche, tanto da arrivare a concezioni addirittura barbariche […], ci fa dare in escandescenze”.

È significativo che Angelo esprimesse tali considerazioni in prima persona plurale, rimarcando quindi che erano condivise da altri suoi coetanei. Aveva chiaro che si stava abbassando il livello culturale degli studenti e che il fascismo rischiava di tirar su un popolo “senza più sentimenti da difendere e senza più ricordi da custodire e da far rivivere”. Fa inoltre una certa impressione l’invocazione della libertà di pensiero da parte di un giovane cresciuto nella dittatura fascista e plasmato dalle sue istituzioni: “Sarebbe un grave danno voler inquadrare la scienza come si può inquadrare una compagnia. La scienza per essere tale bisogna che sia libera; anzi è proprio essa che deve inquadrare tutto il resto”.