Furio Fantini nel suo laboratorio.
Fantini con un apprendista.
Rendiconto del fabbro Grilli.
Macchine agricole prodotte dall'Officina Pei.

Le botteghe minori

Il censimento industriale del 1928 contava, però nel solo territorio tifernate, 21 aziende meccaniche con 66 addetti, dato comprensivo sia delle piccole che delle grandi officine. Ma i vari elenchi ufficiali del frammentato artigianato minuto sono incompleti. Non vi figurano diversi fabbri e meccanici di certo attivi in quel periodo.
Almeno una quindicina di operai, ad esempio, tra cui qualche falegname, continuarono a essere impiegati nell’Officina Ferroviaria fino a tutta la seconda guerra mondiale. Riparava­no le caldaie e le parti meccaniche delle macchine a vapore e restauravano i vagoni.
Altra documentazione – fatture commerciali, carte intestate, annunci pubblicitari e me­morie orali – permette comunque di completare il quadro di tale branca dell’artigianato.
Nel quartiere Mattonata, in piazza delle Oche, si situava la bottega del fabbro Costantino Gril­li. “Stoppino”, così lo chiamavano, aveva fatto parte della Cooperativa, mettendosi in proprio dopo il suo decisivo fallimen­to4. In seguito avrebbe preso con sé anche il figlio Oreste, fa­cendogli dapprima far pratica da Brizi e alla “Falchi & Beccari”, quindi iscrivendolo ai cor­si serali della “Bufalini”. I Grilli si adattavano a ogni genere di commessa: letti e reti metalliche, ringhiere e inferriate, ferrature e serrature, attrezzi per scalpellini, muratori e falegnami, riparazioni di pentole e, di frequente, zincatura delle bare. Infatti si sapevano disimpegnare an­che in certe mansioni da stagnino, perché Co­stantino, previdentemente, aveva appreso i ru­dimenti di quel mestiere dall’ottonaio Bianchi. Sono documentate solo sporadiche e modeste commesse pubbliche.
Ma i Grilli si sentivano “fabbri d’arte fina” e offrivano il meglio di sé quando si richiedevano loro manufatti in ferro battuto: ecco allora che dalla bottega uscivano testate di letti, ferrature per finestre, maniglie, battenti: lavori difficili, ma che davano particolari soddisfazioni e accrescevano la stima generale. L’attrezzatura era quella tradizionale: la forgia, un mantice – prima a catena, poi a ventola –, un’incudine, un rudimentale trapano a mano, una ruota in pietra mossa a mano, maz­za, martello e scalpelli. Mancava la saldatura autogena, naturalmente: tutti i fabbri saldavano a fuoco, “a bollore”. La bottega occupava sempre parte della piazzetta delle Oche; quan­do il tempo lo permetteva, si preferiva lavorare all’esterno, dove finiva con il restare gran par­te del materiale.
Considerate le modeste condizioni economiche di gran parte dei clienti, l’intraprenden­te Grilli non si limitava al mestiere di fabbro per assicurare una vita dignitosa alla famiglia. Nella buona stagione, quando in campagna pullulavano le feste religiose, se ne andava in giro a vendere le “santaveroniche”, dolcetti fatti di pasta e farina con degli stampi e poi co­lorati in rosso, con vino nero o alchermes2.
Tra le piccole officine è degna di menzione anche quella dell’elettromeccanico Furio Fantini. Figlio del carraio (“facocchio”) Filippo, ne aveva ereditato il vasto locale tra corso Vittorio Emanuele II e via del Cavaliere. Eclettico e geniale, era apprezzatissimo come istallatore e riparatore di macchine elettriche per industrie e autovetture e di impianti di luce elettrica, campanelli, telefoni e parafulmini; riparava anche macchine da cucire, fonografi e macchine fotografiche. Lavorava da solo, mol­to geloso delle proprie conoscenze. Nel 1918 emigrò a Torino, rimanendovi per un decennio. Al ritorno riaprì la bottega, nella quale avrebbe operato fino a tarda età. Il Comune si rivolse abitualmente a lui, soprattutto per riparazioni agli impianti dell’acquedotto e dell’officina idroelettrica.

L’attrezzatura di base di una piccola officinaera costituita da martelli, scalpelli, te­na­glie, strangoli, sega a mano, stampi – tutti at­trezzi costruiti dallo stesso fabbro – e da mor­sa, trapano a mano e incudine, strumenti che venivano invece acquistati. La forgia fu alimentata da carbone di castagno finché si usò il mantice; da carbone coke quan­do si passò ai ventilatori, in forte ritardo ri­spetto alle officine più grandi. La saldatura a ossigeno era abbastanza diffusa, ma non prerogativa di tutti i fabbri, diversi dei quali per questo servizio ricorrevano al laboratorio della Scuola Operaia o alle officine più attrezzate. Così per la tornitura. La saldatura elettrica si diffuse nelle piccole botteghe dopo la seconda guerra mondiale. Anche per il taglio si sarebbe passati dalla sega a mano alla trancia elettrica in tempi diversi a seconda delle botteghe.