La Società Operaia di Sansepolcro

L’attività del Comitato di Assistenza Civile di Sansepolcro finì con il gravitare attorno alla Società Operaia. Furono nei suoi locali, e in quelli della vicina sezione socialista, che lavorarono le donne addette alla produzione di vestiario militare; un’occupazione che permise a numerose congiunte di soldati di guadagnarsi da vivere e che ebbe in Luigi Bosi il direttore di fatto.
La Società Operaia svolgeva un ruolo importante nella vita sociale cittadina. Nel marzo del 1915 aveva costituito nel suo seno un ufficio di collocamento per alleviare il problema della distribuzione del lavoro, aggravato dal ritorno di tanti emigranti dalle zone europee già sconvolte dal conflitto. Avrebbe desiderato gestire anche il magazzino municipale del grano, ma il progetto non era andato in porto per le resistenze degli ambienti conservatori.
Un interessante spaccato dell’associazione lo offre un articolo de «La Rivendicazione» di inizio 1916. S’erano appena svolte le elezioni interne per il rinnovo delle cariche ed aveva prevalso una lista sostenuta da un gruppo di operai, per lo più socialisti, che non seguirono l’invito all’astensione raccomandato dal loro partito. Il corrispondente del periodico socialista altotiberino, Publio Ciotti, disapprovò apertamente la linea del partito, giudicando del tutto inopportuno disinteressarsi della direzione di quella che definì “la nostra massima istituzione operaia”. Siccome essa aveva avuto “un andamento tutt’altro che lodevole”, spettava proprio ai socialisti riportarla sulla “diritta strada”. La Società, tra l’altro, aveva un suo Magazzino di Consumo e ci sarebbero volute, per dirigerlo, persone commercialmente molto competenti. Per quanto concerneva l’aspetto mutualistico – era essa, infatti, prioritariamente una società di mutuo soccorso – si aveva la percezione di una crisi montante, le cui dimensioni non erano note perché mancavano da tre anni i rendiconti ufficiali. Comunque si sapeva che i soci stavano diminuendo; restavano i vecchi e di nuovi ne entravano “in numero insignificante”. Di conseguenza scendevano gli introiti, proprio quando le difficoltà dei tempi avrebbero imposto di alzare i sussidi. Ciotti scrisse che non aveva più senso dare al socio malato 60-70 cent. di sussidio e 9 lire al mese di pensione a 70 anni; occorreva quindi “cedere il passo ad istituzioni più moderne e maggiormente preferibili”. Vi era dunque il rischio che il sodalizio cessasse di operare “per esaurimento lento ma continuo [1].
Proprio in quel periodo la Società Operaia finì nel vortice dello scontro politico. Il cassiere del suo Magazzino di Consumo denunciò la “Buitoni” per averle venduto del grano a prezzo superiore a quello stabilito dal calmiere. Ciò provocò la dura reazione della componente più moderata dell’associazione, esponenti di ceti sociali che, a differenza dei socialisti, non contestavano alla “Buitoni” l’egemonia che stava esercitando su Sansepolcro. La mobilitazione di quelli che «La Rivendicazione» definì “i molinari” – con chiara allusione al Molino dei Buitoni – li portò alla conquista della direzione della Società; nelle elezioni per il rinnovo delle cariche del 26 novembre 1916, indette secondo i socialisti con una “sfacciata violazione” dello statuto, misero insieme una maggioranza di 94 voti. La reazione socialista fu furibonda: “E noi per amore dell’union sacrée dovremmo stare in buona armonia con lor Signori? A no perdio! Fra noi socialisti e loro, non v’è soltanto un contrasto d’interessi di classe e di partito, ma vi è un dissenso irriducibile di pensiero e di coscienza, vi è addirittura un divorzio morale” [2].
Se si dà credito alle cronache de «La Rivendicazione», il colpo di mano dei “molinari” aggravò la crisi della Società Operaia, che accusarono di non svolgere più alcuna funzione di difesa degli interessi dei lavoratori, di stimolo sociale e culturale; insomma, di aver “tradito gli interessi della sua classe”. Le assemblee dei soci andarono deserte e caddero nel vuoto gli inviti ai socialisti a parteciparvi. Questi, anzi, soffiarono sul fuoco della contestazione verso il nuovo direttivo, ispirando una “diserzione di protesta” dell’assemblea dei soci. Di certo a rimetterci fu la popolazione di Sansepolcro, che non ebbe più, nel corso della Grande Guerra, un sodalizio in grado di tutelare gli interessi dei ceti meno abbienti mentre si aggravavano i problemi dell’approvvigionamento alimentare e del carovita. Nel maggio 1918 il giornale socialista commentò sconsolato: “Non esiste alcun organismo o movimento cooperativo in difesa degli interessi dei consumatori; la Società Operaia ormai è snaturata, prima che vi fosse la ‘insurrezione dei negrieri’ che portò i Signori alla sua direzione, si parlava di costituire nel suo seno una cooperativa di consumo” [3].

 


[1] «La Rivendicazione», 15 gennaio 1916; cfr. anche ibidem, 6 marzo e 9 ottobre 1915.
[2] Ibidem, 2 dicembre 1916. Nel processo celebrato a novembre in pretura per l’infrazione al calmiere, la “Buitoni” fu assolta perché a provocare la trasgressione era stato “un involontario errore del commesso della Ditta”; cfr. ibidem, 25 novembre 1916.
[3] Ibidem, 13 ottobre, 3 e 24 novembre 1917; 25 maggio 1918.