La rappresaglia di Falzano, in territorio cortonese

Nell’ultima settimana di giugno il vortice della violenza continuò a infierire a oriente del Tevere, tra le valli dei torrenti Minima e Niccone. In quel mese, sull’Appennino cortonese, i partigiani crearono non poco disturbo alle comunicazioni tedesche lungo la strada per Città di Castello. In un primo attacco uccisero un soldato tedesco, che precipitò in un burrone con la vettura assalita. In un secondo episodio, il 19 giugno, presero di mira un’autoblinda e una macchina germaniche. Quindi, il 26 giugno, colpirono a morte due tedeschi che stavano razziando la fattoria dell’Aiola, a Falzano, in comune cortonese ma a poca distanza da Petrelle di Città di Castello. Un terzo soldato, rimasto ferito, riuscì a fuggire.

Scattò subito la furiosa reazione dei commilitoni dei soldati uccisi. Appartenevano all’818° battaglione dei Gebirgsjäger (Cacciatori di Montagna), addetto alla posa di mine e alla demolizione di ponti. Andarono sul posto e cominciarono a far fuoco contro le case coloniche e i contadini che scappavano. Uno morì. Intanto, lo stesso 26 giugno, altri tedeschi prendevano in ostaggio numerose persone di San Leo Bastia. Enzo Bucci fu testimone: “Ricordo l’arrivo per la provinciale di don Virgilio Stagi […]. Davanti alla casa dei Bucci, prima di giungere alla scuola, don Virgilio si fermò un istante ed allargando le braccia, disse rivolto a Giuseppe Bucci: ‘Sarà quello che la Madonna Santissima vorrà…’. E poi continuò scuotendo la testa e appoggiandosi al suo bastone, seguito dappresso dal gruppo di parrocchiani che, per la sua presenza, si sentivano più protetti. Gli anziani, le donne e i ragazzi vennero rimandati a casa, mentre gli uomini validi vennero trattenuti dai tedeschi e rinchiusi nei seccatoi del tabacco di Pannacci Mariano”.

La rappresaglia prese corpo l’indomani, 27 giugno, nella zona di Falzano. Sin dal mattino i tedeschi la percorsero nel vano tentativo di scovare i partigiani. Incendiarono alcune case e capanne e mitragliarono all’impazzata verso la campagna e i boschi, uccidendo due uomini e una donna. Poi rinchiusero altri undici uomini rastrellati nei dintorni dentro una casa già data alle fiamme il giorno innanzi, la cinsero con filo spinato e la fecero saltare in aria. Dalle macerie ne fu estratto vivo solo uno. Gli ostaggi di San Leo Bastia – una ventina di uomini – non subirono alcuna violenza.

Dopo l’eccidio, anche su richiesta della popolazione, timorosa di nuove violenze a suo danno, i partigiani della banda “Poggioni” operanti nella zona decisero di sospendere la loro attività e di nascondere le armi.

Per le responsabilità nella strage di Falzano, nel settembre 2006 il tribunale militare di La Spezia ha condannato in contumacia all’ergastolo Herbert Stommel e Josef Scheungraber, nel 1944 rispettivamente maggiore e sottotenente dell’818° Battaglione dei Gebirgsjäger della Wehrmacht. La pena dell’ergastolo è stata comminata a Scheungraber anche dal tribunale militare di Monaco di Baviera nell’agosto del 2009.

 

 

Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.

Monumento a ricordo della strage.
Angiolo Donati
Domenico Trasenni
Lorenzo Donati
Funerale a Umbertide dei due militari tedeschi, la cui uccisione provocò la rappresaglia.
Il libro di Alessandro Eugeni che ricostruisce le vicende della strage e del processo.