La fuga impossibile

Vi fu chi tentò di sottrarsi a quelle sofferenze con la fuga. Talvolta ebbe un esito tragico. Boldrini poté vedere i cadaveri di alcuni deportati che avevano tentato di scappare: “Camminando per un sentiero trovammo i resti di tanti nostri amici, con le membra sbranate dai cani poliziotti e alcuni crivellati da colpi di fucile o di mitraglia”.
Ci provarono anche due umbertidesi; lo racconta Primo Fabbri: “Fuggirono Mario Loschi e un giovane di Faldo. Di notte, perché abbiamo visto che a lavorare non c’erano. Ma dove volevano andare, da lassù… Avevano rubato un po’ di pane per sfamarsi durante la fuga. Dopo 50 km a piedi li hanno ripresi. Gli hanno dato un sacco di botte e li hanno messi nel campo di disciplina, 18 ore di lavoro su 24”. Loschi avrebbe portato a lungo sulla pancia le tracce delle sevizie subite con dei ferri roventi dopo la cattura.
Di tentativi di evasione era al corrente anche Corrado Coltrioli: “Qualcuno ha provato a scappare, ma li hanno ripresi tutti. Dopo li mettevano a lavorare per punizione nei campi di sterminio. Se ne sentiva parlare; ce n’era uno a Dora”.
Finì dunque per prevalere un senso di rassegnazione: “Fuggire? Per andare dove?”
Quando ormai le vicende della guerra stavano per precipitare, i tedeschi ricorsero a una mossa che in fondo ne rivelava la disperazione. Chiesero ai deportati, già stremati, di arruolarsi con loro in cambio di un sostanziale miglioramento delle loro condizioni di vita. I più lucidi compresero le insidie che si celavano dietro a quell’adescamento: essere usati come carne da macello al fronte.
Nel leggere i manifesti affissi nei lager, Bruno Consigli percepì la proposta come un ignobile ricatto e provò un moto di ribellione. Ebbe però parole di comprensione per i tifernati di un altro lager i quali – gli era stato riferito – erano andati con i tedeschi: “Poveri ragazzi, erano troppo giovani, non sapevano quello che stavano facendo, ma speriamo che Iddio li abbia aiutati”.
La testimonianza di Sergio Ragni rievoca una vicenda dalla tragica conclusione:
“Nel nostro lager alla fine accettarono in parecchi. Di noi di Umbertide solo Nello Rossini. Poveretto, bisogna capirlo: ridotti in quel modo non si ragionava più. Noi ci si raccomandò:
‘Non ci andare a combatte con loro, restiamo uniti, siamo arrivati alla fine, tra poco la guerra finisce’.
Ma lui: ‘Non ce la faccio più’.
I tedeschi trattarono bene per qualche giorno quelli che accettarono la loro proposta: li facevano mangiare abbondantemente vicino alla recinzione del nostro lager, per farci vedere come stavano bene e convincere altri di noi ad arruolarsi. Poi, però, un giorno sono venuti con dei camion, li hanno caricati urlando e li hanno portati via, forse al fronte. Di Nello non si è saputo più niente”.