Il Territorio Libero di Pietralunga

L’8 giugno, giorno del Corpus Domini, di primo mattino la Brigata Proletaria d’Urto “San Faustino” entrò ancora in azione a Pietralunga, con l’obbiettivo di disarmare per la seconda volta la caserma della GNR. Guidava i partigiani Virgilio Riccieri. Mentre due squadre di cinque uomini bloccavano le entrate del paese, Riccieri con una quindicina di altri intimò la resa al presidio, anch’esso costituito da circa quindici militi fascisti e carabinieri. Prima di cedere, il loro comandante chiese di poter condividere la scelta con il commissario del locale Fascio repubblicano, per evitare rappresaglie politiche da parte delle autorità del regime. Gli fu concesso e la vicenda si chiuse senza alcuna violenza. Quella stessa mattina il commissario prefettizio Italo Fabbri e il segretario del Fascio Emanuele Polchi comunicarono al Capo della Provincia: “[…] alle ore 8 di oggi abbiamo appreso che i militi della locale Caserma della GNR avevano abbandonato il Presidio. Da informazioni assunte risulta che si sono uniti a gruppi di ribelli i quali transitavano per queste zone nelle ore antelucane e che sembrano diretti verso la zona di Scalocchio (Città di Castello) ed Apecchio. Non si sono uditi spari di armi da fuoco e nel paese regna la massima calma. Informiamo anche che il Comandante della locale GNR, rimasto solo in Caserma, ha abbandonato per ultimo il posto e non possiamo precisare quale direzione abbia preso. […] Da un sopralluogo alla Caserma risulta che tutto è a posto; mancano soltanto armi e bagagli”.

L’incursione partigiana preluse alla sostanziale occupazione di Pietralunga da parte della “San Faustino”, che vi trasferì temporaneamente anche il comando. Da allora, per più di un mese, il paese divenne il centro di un Territorio Libero nel quale le formazioni della brigata si mossero indisturbate e la popolazione poté vivere in tranquillità. I tedeschi si fecero vivi solo una volta, con tre carri armati leggeri e circa 200 uomini. Per salvaguardare i pietralunghesi, l’arciprete Mandrelli si adoperò per convincere i partigiani, appostatisi sulle alture, a non attaccare il contingente germanico, che infatti se ne andò dopo poche ore.

La mancata pressione nemica permise di consolidare un’esperienza di Territorio Libero che non rientrava nella strategia di un movimento di Resistenza per sua natura votato alla guerriglia e alla mobilità e privo di forze adeguate per difendere zone occupate. Inoltre, nei giorni successivi all’incursione, la “San Faustino” fu mobilitata per attuare l’ambizioso progetto del CLN provinciale di liberare Perugia prima dell’arrivo degli Alleati. Abortita tale azione, la brigata tornò a dispiegarsi nella sua area operativa, con la formazione di Montebello orientata verso Città di Castello, quella di Morena verso Gubbio e i pietralunghesi di Cairocchi a difesa del loro paese.

In questo contesto, con gli Alleati ormai alle porte di Perugia – l’avrebbero liberata il 20 giugno –, a Pietralunga avvenne un fatto simbolicamente assai rilevante. Un comunicato firmato da Stelio Pierangeli, con il suo nome di battaglia “Geo Gaves”, il 18 giugno abbatteva l’autorità del regime: “Il comando della 1a Brigata Proletaria d’Urto in ossequio alle disposizioni emanate dal Comitato Nazionale di Liberazione dichiara decaduti dalle loro mansioni tutti i funzionari nominati dallo pseudo Governo Fascista Repubblicano. Da oggi l’amministrazione della cosa pubblica verrà assunta da un Comitato di cittadini in attesa delle disposizioni che il legittimo Governo d’Italia detterà”. Quattro giorni dopo era nominato sindaco Luigi Pauselli. Lo annunciò con queste parole: “In ottemperanza all’incarico conferitomi da parte del Comitato di Liberazione assumo la direzione amministrativa di questo Comune”. Pauselli invitò a mantenere la calma e a cooperare: “Solo così ci potremo rendere degni di riconquistare quella vera libertà di cui siamo stati privati durante questo ultimo quarto di secolo”.

Intanto la “San Faustino” operava in più direzioni. Mentre Pietralunga fungeva da base per le scorrerie di pattuglie partigiane, soprattutto sulle vie di collegamento tra Umbertide, Gubbio e le Marche, il gruppo di Montebello copriva il fronte settentrionale del territorio e una formazione comandata da Bruno Enei si dirigeva verso Gubbio, per tentare di entrare in città prima degli Alleati. Di tale azione, che si inserisce nel contesto della terribile rappresaglia tedesca del 22 giugno, costata la vita a 40 persone, si parlerà in seguito.

I partigiani di Pietralunga mirarono dunque – come del resto richiedeva il gen. Alexander – a creare problemi al flusso tedesco di comunicazioni e di trasporti, ora minando ponti e danneggiando le sedi stradali, ora attaccando i convogli germanici. I sabotaggi – scrisse Riccieri – permettevano di conseguire due obbiettivi: “S’interdiceva il transito della rotabile per diverse ore e si costringevano i tedeschi ad impegnare, nel ripristino della viabilità, truppe, distogliendole dall’impiego operativo”. Gli attacchi di solito avvenivano quando si faceva sera; dopo pochi minuti di fuoco i partigiani si ritiravano e nell’oscurità sfuggivano alla reazione dei tedeschi. Riccieri comandò un riuscito attacco a un’autocolonna tedesca a Mocaiana (Gubbio), lungo la provinciale che conduce a Umbertide. Proprio queste strade di raccordo erano particolarmente usate dai tedeschi per il flusso dei loro rifornimenti. Riccieri dispose nuclei partigiani a 15-20 metri l’uno dall’altro, la stessa distanza che generalmente intercorreva tra un automezzo e l’altro. All’arrivo della colonna ordinò il fuoco. Le raffiche di mitragliatrice e le bombe a mano colpirono alcuni veicoli e costrinsero la lunghissima colonna a fermarsi. I tedeschi spararono all’impazzata, ma contro un nemico invisibile. Quando riuscirono a ripartire subirono un secondo attacco e dovettero bloccare di nuovo gli autoveicoli. Poi, prima di ritirarsi definitivamente, i partigiani fecero un’azione di disturbo contro una postazioni difensiva germanica a guardia di un ponte. A mezzanotte tornarono alle loro basi. “Questo è un esempio dell’importanza delle nostre azioni” – affermò Riccieri –; “quella volta per tre ore abbiamo attaccato le autocolonne tedesche, tenendole inchiodate lì tutta la notte”.

Ad accrescere la pressione sul nemico in quell’area appenninica contribuirono le formazioni della 5a Brigata Garibaldi “Pesaro”. Dai resoconti operativi dei partigiani della banda Panichi, si rileva che suoi uomini parteciparono, tra il 17 e il 23 giugno, all’assalto e all’incendio di camion tedeschi a Pian di Molino (Apecchio) e Massa (Cagli) e al sabotaggio del ponte della Lastra, sulla strada provinciale da Apecchio a Città di Castello. In quel periodo tale importante arteria di collegamento tra Umbria e Marche divenne un obbiettivo prioritario della “Pesaro”, che vantò la distruzione di sette ponti nel tratto da Bocca Serriola ad Acqualagna, con il sostanziale blocco del traffico tedesco. Costretti a intervenire subito per ripristinare le comunicazioni, i reparti germanici subirono gli agguati dei partigiani: il 28 giugno, attaccati non lontano da Bocca Serriola, due autocarri tedeschi con una cinquantina di uomini subirono serie perdite.

Del clima che si visse nel Territorio Libero fino al ritorno in forze dei tedeschi, il 9 luglio, fa fede la testimonianza dell’antifascista perugino Mario Donati Guerrieri, che in quei giorni raggiunse Pietralunga insieme a Mario Angelucci: “Trovammo la strada sbarrata da una sentinella partigiana che ci lasciò passare solo dopo lo scambio della parola d’ordine. Eravamo ormai in una vastissima zona completamente controllata dai partigiani. Sentivo nell’anima che in quella località, seppure così vicina a Perugia, aleggiava un’atmosfera del tutto diversa da quella della nostra città. Evidentemente anche il mio compagno di viaggio provava i miei stessi sentimenti; difatti ci guardammo negli occhi ed esclamammo: ‘Qui si respira un’altra aria, l’aria della libertà'”.

 

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.