Lana per i combattenti italiani raccolta tra le maestranze della Fattoria nel 1942.
Dipendenti della Fattoria in fila all'ingresso dello stabilimento.

Il tentativo di socializzazione

 

Tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944, nel breve periodo di esistenza del fascismo repubblicano, il regime avrebbe voluto che la Fattoria diventasse un organismo cooperativo emblematico del nuovo corso economico prospettato dalla Repubblica Sociale Italiana. Nel dicembre 1943 Sergio Rossi riferì delle pressioni politiche affinché – si legge nei verbali aziendali – “la Fattoria si trasformi in una cooperativa in cui siano rappresentati a parti eguali gli agricoltori, i coloni e le maestranze […] con quel carattere di urgenza che è imposto dal momento e dalla necessità di fare qui l’esperimento di attuazione del programma politico di Verona”. I procuratori, pur affermando di accettare “le direttive” di quel programma e di essere quindi disposti ad attuare la cooperativa, raccomandarono che si procedesse alle eventuali riforme con grande prudenza.
Si avviò subito un serrato confronto tra le organizzazioni sindacali degli agricoltori e dei mezzadri sulla proprietà degli impianti aziendali. La Fattoria ribadì che appartenevano non ai singoli, ma al consorzio nel suo complesso; chiese che si riaffermasse, oltre alla “intangibilità del capitale”, la “inderogabile esigenza” di una prevalenza degli agricoltori nel consiglio di gestione. Le trattative andarono avanti fino a marzo e produssero un accordo definito dai procuratori “ottimo” e dalla Commissione dei Nove “pienamente soddisfacente”. La cosiddetta “socializzazione” della Fattoria prevedeva che ai coloni spettasse “la metà di quanto si ritrae[va] dal tabacco nella sua interezza”, e che coloni e operai partecipassero alla gestione dell’azienda, assicurandone però la continuità, “con lasciare ai conduttori dei fondi rustici la nomina del Capo dell’Azienda e di metà del Consiglio di Amministrazione”. Il massimo gerarca del fascismo repubblicano tifernate, Orazio Puletti, nel riconoscere il ruolo avuto dai procuratori e dal direttore nello sviluppo della Fattoria, spiegò il senso dell’accordo raggiunto: “[La F.A.C.T.] ha avuto sempre carattere famigliare e con le riforme proposte non si fa che dare forma legale a quanto era già nella prassi dell’azione”.
Il deterioramento della situazione militare, con l’avanzare del fronte bellico sul territorio italiano, e i graduali segnali di sfaldamento del regime fascista impedirono di dare pratica attuazione al progetto.