Ritratto di Gabriotti con le medaglie della Grande Guerra.

Il ferimento

Quando Gabriotti rientrò in licenza, la vita a Città di Castello stava tornando alla normalità dopo il terremoto del 26 aprile. Si sentiva però a disagio nell’ozio della licenza, mentre i suoi uomini stavano combattendo in prima linea. Appena seppe dell’invio del reggimento sull’Isonzo, in un nuovo delicato settore del fronte, decise di interrompere il permesso e di ricongiungersi al reparto. Lo raggiunse nel primo pomeriggio del 24 maggio. Era trincerato alla base del Monte Santo e fervevano i preparativi per l’assalto.
Il comandante di battaglione si compiacque di rivedere Gabriotti; c’era davvero bisogno del suo coraggio per spronare i fanti all’ardua conquista dell’altura. Le truppe italiane iniziarono ad avanzare dopo nutriti bombardamenti, subendo però serie perdite per l’efficacia delle postazioni difensive austriache. Il 25 maggio, alle ore 16, scattò un nuovo attacco alla baionetta sotto un micidiale fuoco di sbarramento. Mentre intorno a lui cadevano numerosi uomini, colpiti a morte, Gabriotti riuscì ad avvicinarsi ai reticolati nemici, incitando i soldati ad avanzare ancora. Fu allora che la scheggia di una granata lo colpì al capo, lasciandolo sanguinante e privo di sensi. Due fanti scorsero il corpo del loro tenente esanime e moribondo, lo caricarono in spalla e lo trasportarono al posto di medicazione.
Trasportato d’urgenza all’ospedale da campo di S. Giovanni Manzano, Gabriotti fu sottoposto ad una delicatissima operazione di asportazione di ernia cerebrale. L’intervento riuscì, nonostante lo scetticismo degli stessi medici. Ma per alcuni giorni il tenente tifernate versò in pericolo di vita. Mentre ancora lottava con la morte sul letto d’ospedale, ricevette la visita della Duchessa d’Aosta, che gli conferì una medaglia d’argento al valor militare, la sua seconda, per il coraggio dimostrato sul Monte Santo.
Intanto avevano avvertito la famiglia e la notizia si diffuse in città rapidamente. Per la prima volta parlò di lui anche “La Rivendicazione”, esprimendo lusinghieri giudizi sul suo conto: “La notizia del suo ferimento ha addolorato quanti hanno la fortuna di conoscerlo e di averne apprezzato, oltre l’intelligenza, l’inesauribile bontà d’animo.”
Il primo concittadino a fargli visita fu il caporal maggiore Giuseppe Fortuni, che inviò a “Il Dovere” i dettagli dell’intervento chirurgico: “Il 26 subì l’operazione ernia cerebrale (trapanazione del cranio) per estrarre dei pezzetti di scheggia. Il punto dove è stato ferito sarebbe stato gravissimo se la scheggia non avesse strisciato attraverso il cuoio capelluto, intaccando l’osso superficialmente. La ferita è della lunghezza di cent. 7 e profonda 1 ma non presenta alcun pericolo.”
Il pomeriggio del 10 luglio partì per Città di Castello, per continuare la degenza nell’ospedale locale. L’indomani mattina una gran folla di tifernati era ad attenderlo alla stazione ferroviaria, improvvisando una festosa manifestazione di entusiasmo.
Alla fine di agosto venne dimesso con l’indicazione di trascorrere due mesi di convalescenza. Invece, il 4 settembre, ripartì senza indugio per il fronte, ricongiungendosi al reggimento presso il S. Gabriele e riassumendo il comando della 6a compagnia. Gli ufficiali superiori lo additarono all’emulazione di tutti i militari della brigata Forlì “per le spiccate virtù militari, l’alto sentimento del dovere ed il fervore patriottico” di cui aveva dato prova.
L’estratto è una breve sintesi del testo in Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore, 1993).