“Anziani, educate i giovani ai buoni valori di cui hanno bisogno e alle buone maniere, e poi fatevi (un po’) da parte e affidate a loro la difficile ricostruzione del futuro”. Il messaggio che lancia Luca Aluigi, un altro dei nostri giovani in giro, per lavoro, nel mondo, è assai esplicito. Eppure lui è consapevole che non basta affatto essere giovane: “La crisi di sistema è globale e nei giovani quello che predomina è un individualismo spinto all’ennesima potenza. Secondo me serve una rivoluzione, comune e pacifica, fatta da persone con una adeguata educazione alla comunità e a buoni valori. I giovanissimi di oggi sono educati da uno smartphone, e questo non è bello affatto.
Luca, 35 anni, è nato a Città di Castello e appartiene a una famiglia di origini marchigiane e contadine: quella campagna intorno ad Apecchio dalla quale molti si sono inurbati nell’Alta Valle del Tevere. E della sua doppia "cittadinanza", apecchiese e tifernate, va molto fiero.
Attualmente si trova a Monaco di Baviera ed è raggiante: “Poche settimane fa mi è arrivata la stupenda notizia che la proposta di progetto che ho sottomesso all’Unione Europea, rispondendo al bando Marie-Curie People IEF 2013, è stata approvata! La UE finanzierà per due anni la mia ricerca sui radiometri da satellite per studiare la superficie del Sole! Svolgerò questa ricerca – acronimo FLARES – al Tyndall Institute in Irlanda a partire dal primo settembre 2014”.
Tornare a dedicarsi alla ricerca scientifica è per Luca il compimento di un percorso lungo e frastagliato, ma non privo di soddisfazioni. Dopo gli studi classici, ha frequentato la facoltà di ingegneria elettronica con orientamento spaziale. Ma non studiava soltanto: “Parallelamente agli studi, sono stato facchino, web designer, commerciante di abiti firmati online, musicofilo, musicofago, musicista, tennista, viaggiatore, raccoglitore di mele, di tabacco, aggiustatore di decoder satellitari, e, soprattutto organizzatore di eventi, l’attività collaterale che mi ha appassionato di più”.
Luca ha infatti contribuito a fondare l’associazione culturale Altotevere Live nel 2004: “Da allora ne sono orgoglioso presidente. Quante stupende serate abbiamo organizzato in questi 10 anni… Di certo, molto del mio tempo durante gli studi universitari l’ho dedicato ad altre attività. Al punto che preferisco definirmi uno studente universitario part-time. Non mi sento affatto imbarazzato a dire che mi ci sono voluti 10 anni per laurearmi: stavo sperimentando!”
È nell’ultimo scorcio degli studi in ingegneria che Luca trova lo stimolo decisivo: “Proprio sostenendo il penultimo esame, ho scoperto che le Microonde mi appassionavano terribilmente. Così, dopo la laurea, il tema del dottorato è stato il progetto e lo sviluppo di radiometri ad onde millimetriche per applicazioni di telerilevamento spaziale”.
Il peregrinare di Luca inizia proprio in virtù di questo dottorato, e di una borsa di studio “Erasmus”: “Tra settembre 2010 e marzo 2011, sono stato sei mesi presso un importante istituto di ricerca sulla microelettronica e sui semiconduttori, il Tyndall Institute, dell’Università di Cork in Irlanda. Per la prima volta mi confrontavo con una realtà molto esigente, in cui si persegue continuamente l’eccellenza. E anche se i risultati ancora non venivano, senza saperlo stavo piantando i semi per qualcosa di più”.
Una nuova borsa di studio, della Fulbright, proietta Luca negli Stati Uniti tra giugno e dicembre del 2011: “Sei mesi ad Atlanta, presso il Georgia Institute of Technology, School of electrical and computer engineering. Lì finalmente sono stato messo nella condizione di fare anche molti esperimenti scientifici. E, in modo sorprendente, senza doversi preoccupare del budget. È vero che le università americane sono ricche. Purtroppo dalle nostre parti, anche una spesa di 100 euro per qualche attrezzatura di laboratorio può costituire un problema. Al GeorgiaTech, non c’era neanche bisogno di chiedere il permesso per spese inferiori ai 1.000 dollari!”
L’esperienza americana, a differenza di quella irlandese, si rivela molto prolifica per Luca in termini di risultati e pubblicazioni. Di lì a poco il diploma di dottorato e un periodo trascorso a Città di Castello, lavorando part-time come progettista di impianti fotovoltaici e part-time come ricercatore presso l’Università di Perugia: “Ho dovuto lavorare, ma gratis, per l’Università; non c’è bisogno che anch’io mi scagli contro la drammatica situazione della ricerca italiana…”
Nel 2013 si aprono per Luca le porte dell’Inghilterra: “Ho accettato un incarico come designer a Newton Aycliffe, nel nord-est dell’Inghilterra. Ero presso la RFMD, una delle aziende leader nel mondo per la progettazione di microchip a radio-frequenza per telefoni cellulari (Apple, Samsung, Nokia, per citarne alcune)”.
In quella che lui definisce “la prima esperienza di lavoro ‘serio’ in un paese ‘serio’”, ha trovato luci e ombre: “Lato positivo, è stato misurare me stesso con una realtà industriale importante, capirne meccanismi e adattarmi ad essi. Lato negativo, ma con risvolto educativo, è stato capire che il lavoro in una azienda, per quanto ingegneristico, per quanto creativo, è ben diverso dalla ricerca. Diventa ripetitivo e, per dirla francamente, noioso. Questa esperienza mi ha fatto ancor più capire che io amo la ricerca: la amo perché mi stimola e mi sfida continuamente”.
Poi va a finire che quell’azienda decide di spostare negli Stati Uniti la produzione fatta nel Regno Unito: “Risultato: 200 persone, per lo più ingegneri, messi in mobilità. Me compreso. Ma non posso dire che mi sia dispiaciuto, a dire il vero”.
Niente disoccupazione, però. Subito si apre per Luca una nuova prospettiva: “Ora mi trovo a Monaco di Baviera. Città bellissima, stupenda e che offre mille opportunità sotto ogni aspetto. Anche in questo caso lavoro in una importante multinazionale, di software CAD microelettronico: Cadence Design Systems. So che il lavoro è a tempo determinato, che non faccio ricerca; ma, complice un ambiente più giovane e dinamico, in questo caso non mi sto proprio annoiando”.
Prima di rifare le valige per l’Irlanda, Luca può quindi guardarsi indietro per un esame spassionato di queste prime esperienze in terra straniera. “Il meglio delle società in cui ho vissuto? Irlanda: semplicità della vita, snellezza burocratica, poco stress, la Guinness! Inghilterra: mi è piaciuto molto lo stato sociale inglese e la sanità. In generale la cosa pubblica in Inghilterra funziona molto bene. E gli inglesi sono molto onesti e molto gentili. Ho capito perché siano restii ad entrare pienamente nella comunità europea e nell’eurozona: perché mai dovrebbero! Germania: la pulizia, l’ordine, le mille opportunità che offre Monaco e… la birra! Atlanta: ho percepito un senso di libertà nelle persone e nelle azioni. Ma ti rendi conto di quanto la società americana sia criticabile sotto mille punti di vista. Ne accenno due: 1) in Georgia è tuttora in vigore la pena di morte e 2) trovavo nella cassetta della posta volantini tramite i quali ordinare comodamente da casa mitragliatori, fucili e pistole di ogni genere… Quanto al cibo, anche se il cibo italiano resta imbattibile, ho mangiato sempre bene, tranne che in Irlanda”.
Consolante il fatto che Luca si sia sentito ovunque bene accettato: “Ho sempre trovato molto rispetto per me, anche se italiano. Vero è che esiste un forte stereotipo di italiano, in bene e in male. Se sei l’italiano in un gruppo di persone, automaticamente appari il più simpatico, quello che ha più gusto nel cibo, nelle auto, nei vestiti e tutti sempre ti chiedono di parlare italiano perché è una lingua bellissima da sentire. Questo il lato piacevole. Il lato triste è che tutti ci identificano come mafiosi e berlusconiani. Ancora più triste è che in molti casi questi due aspetti sono visti con ammirazione! Non solo superficialmente, ma anche in discorsi più approfonditi e seri, le persone sono convinte che lo spirito furbetto sia proprio di ogni italiano…”
Ad essere bene accettato all’estero ha contribuito decisamente la buona preparazione scientifica che Luca si è portato dietro, grazie alla pur bistrattata università italiana: “Non sono il primo ad affermarlo, ma la mia esperienza in giro per il mondo mi permette di confermare che ovunque i ricercatori italiani (ne ho incontrati molti nei vari istituti e aziende) emergono sempre come i più preparati, abili, creativi, rigorosi, efficaci”.
Luca ci tiene a mantenere legami profondi con la terra d’origine. Per chi viaggia all’estero in quest’epoca, Skype e i social media diventano strumenti fondamentali per facilitare all’estremo la comunicazione e azzerare virtualmente le distanze. Così si riesce meglio anche a tenere vive le proprio radici, cosa alla quale Luca tiene molto: “L’identità altotiberina è un mix unico e speciale di una terra di confine. Il dialetto, l’atteggiamento aperto e cordiale, la tranquillità e la coscienza del mondo sono aspetti del popolo tifernate che tutti insieme ci rendono unici e riconoscibili ovunque. Non siamo umbri, non siamo toscani né marchigiani o romagnoli. Siamo tutto questo e lo siamo solo noi. Viva Castèlo, viva i Castelèni!”