Achille Sberna. Mettersi in gioco nel “nuovo mondo”.

 “Nasco con la passione del disegno e delle parole, sbando da ingegnere civile (laurea triennale) e mi rimetto in carreggiata con l’architettura (laurea magistrale in ingegneria edile-architettura). Attualmente tengo la strada principale, ma sono pronto a mettere la freccia per percorsi sterrati e magari inediti”. Ricostruisce così il suo percorso Achille Sberna, architetto tifernate ora a Melbourne (Australia). E spiega le ragioni di quello sbandamento: “Il tacito ammutinamento delle mie attitudini ‘creative’ durante lo studio da ingegnere ha prodotto una consapevolezza su quello che erano davvero le mie passioni. Ricordo quel periodo come una continua evasione mentale dallo studio scientifico:lo sviluppo di una radice quadrata era per me un albero cubico, prima che un numero. E lo è ancora, nonostante la laurea”.

Non si rammarica di nulla, Achille; tuttavia trae dalla sua esperienza un insegnamento più generale: “Se è vero che il percorso crea la persona, la mie attuali passioni si sono nutrite anche di quello sbandamento. Ma non a tutti va così. È per questo che sosterrò sempre, sul modello dei paesi nordici, l’idea del gap year (l’anno in cui, spesso al termine delle scuole superiori, ti dedichi al viaggiare o al lavorare all’estero): prendersi del tempo prima per spenderlo meglio dopo”.
L’opportunità di uscire dal guscio altotiberino l’offre ad Achille il Progetto Erasmus, che lo porta a Berlino nel 2011; sei mesi nella città tedesca per sviluppare la sua tesi di laurea: “Paradossalmente il tema designato fu la riqualificazione architettonica e acustica di uno spazio urbano a… Città di Castello”. Berlino gli entra nel cuore: “Sebbene sempre più costantemente inflazionata, per me è stata ed è uno ‘stimolificio’ di riferimento sin dalla prima visita nel 2007; una città che porto ancora sulla pelle, letteralmente”.
Poi, nel novembre 2012, il salto all’altro capo del mondo, in Australia: “Prima a Brisbane, ma giusto il tempo di realizzare le distanze; quindi a Melbourne, per vivere tutto il resto”.
Achille rivela come le motivazioni di fondo di questa avventura professionale si stiano rimodulando in corso d’opera: “Sono arrivato fin qui senza grande cognizione di causa, intenzionato principalmente a trovare un’esperienza in uno studio di architettura. Alla fine l’obiettivo si è rivelato secondario rispetto ad altri fondamentali arricchimenti e solo quando ho smesso di vivere per cercarlo l’ho ottenuto davvero. Quando cioè ho iniziato a prestare attenzione al processo prima che all’obiettivo. Tengo molto all’espressione e alla filosofia australiana del ‘take it easy’ (‘prendi le cose con calma’), a cui mi piace aggiungere un ‘q. b.’ (‘quanto basta’), come nelle ricette. Infatti non sono né sarò mai un ‘facilone’, ma è proprio vero che a volte ‘con la vita bisogna magnacci il pane’, come mi ha detto un amico fraterno venuto a trovarmi fin quaggiù”.
Per Achille l’impatto con l’ambiente australiano è stato una sfida: “L’imprevedibilità, le coincidenze e il continuo ribaltamento dei piani hanno caratterizzato questa esperienza simile a un videoclip: tagli veloci, fugaci ciak. Ho viaggiato per la costa orientale, vissuto in 2 città, abitato in 4 case, fatto 9 lavori in 14 mesi (il gap che separa il lavapiatti dall’architetto è più breve di quanto si pensi), mi sono pure lasciato con la mia ex-fidanzata poco dopo essere arrivati in Australia! Ogni singola esperienza mi ha costretto a dover rispondere a me stesso, cosa che forse non avevo ancora mai avuto necessità (o il coraggio?) di fare in Italia”.
L’Australia è affascinante, afferma Achille, anche se può essere impegnativa: “È un paese da viaggiare inesorabilmente e la sua potenza paesaggistica non può deludere. Potrebbero invece farlo la società e le città, tutto dipende da come ti poni. Melbourne, nella fattispecie, è un ottimo posto in cui vivere. Multiculturalità diffusa fra residenti e viaggiatori: è divertente indovinare dagli adattatori elettrici la nazionalità delle persone che incontri in biblioteca, ad esempio. La concorrenza lavorativa è molto alta e la questione del visto Working-Holiday (Vacanza-Lavoro) spesso limitante per trovare lavori qualificati, quale ad esempio l’architetto. Nessuno ti regala nulla e le porte in faccia sono all’ordine del giorno. Una volta superato lo step dell’inserimento e del lavoro, qualunque esso sia, vivere è facile: alto costo della vita, ma stipendi ben proporzionati, bella dimensione culturale (eccellente, se paragonata al resto dell’Australia), giovani ovunque, persone rilassate”.
Un bel biglietto da visita, tutto sommato: un mondo che, a giudizio di Achille, può ammaliare: “In effetti è invitante accomodarsi in Australia. Ma il ‘rischio’ paradossale – personalmente riscontrato – è che una volta ottenuto tale comodo benessere, questo tendeva vagamente ad anestetizzare le esigenze di curiosità dei miei 29 anni. Succede quindi di sentire il richiamo del substrato storico-culturale dell’Europa o di volersi tuffare nel vitale caos delle città asiatiche. Del tutto appagato da questa esperienza, cercherò quindi di spostare il mio percorso verso nuovi luoghi nei mesi a venire”.
Achille ha dunque in mente di rimettersi ancora in gioco, altrove. “In realtà, già in altre tre circostanze stavo per lasciare l’Australia, ma una serie di coincidenze mi ha sempre fatto esclamare ‘Australea acta est’. La volta più curiosa fu quando, senza più lavoro e con il biglietto alla mano di solo andata per l’Italia, me ne vado 5 giorni nel deserto attorno ad Uluru (la famosa roccia, sacra per gli aborigeni), in quello che doveva essere il mio ultimo viaggio in Oceania. La terza notte ero in un campeggio con connessione e controllai la mail: uno studio a Melbourne mi stava cercando per un colloquio. Stupito, rispondo che non potevo essere fisicamente in città prima di lunedì, cioè due giorni prima del volo per l’Italia. Alla fine in quello studio mi sono fermato a lavorare per i quattro mesi successivi. La Via Lattea sopra Uluru mi diede un bacio in fronte quella notte”.
Da Uluru alla Penisola: come appare l’Italia, da un continente così lontano? “I problemi italiani appaiono esattamente per quelli che sono visti da qui: lontani 16mila chilometri. Io stesso, pur essendo persona discretamente informata, a volte ho voluto limitare – per quanto possibile – il flusso di informazioni. Credo che a volte ci sia anche bisogno di questo. Vivere così lontani offre una buona occasione per depurarti da un certo chiacchiericcio mediatico italiano volto spesso a distruggere soltanto. In tanti invece vogliono costruire, per fortuna”.
Achille rassicura sul fatto che l’immagine del nostro Paese non è poi così sbiadita laggiù (“se qui dici Italia, traduci bellezza e qualità, soprattutto rivolta alla ristorazione, un mercato in perenne espansione a Melbourne”) e parla anche dei tanti italiani in Australia: “Nella capitale del Victoria la comunità italiana è la più estesa di Australia e c’è un mondo sommerso nelle storie degli immigrati degli anni ’50 sbarcati qui come manodopera qualificata. Oggi la comunità si sta ampliando velocemente con un nuovo flusso di persone fra i 25 e i 40 anni, arrivati con visti temporanei di Vacanza-Lavoro e alla fine rimasti più a lungo. Le condizioni sociali di questo nuovo flusso migratorio sono tuttavia troppo diverse dal precedente per fare dei sensati paragoni. I nuovi italiani di Australia arrivano infatti spesso alla ricerca di una rottura o di opportunità migliori, ma quasi mai per questioni di vera necessità economica. Tuttavia l’attuale situazione italiana può spingere a valutare concretamente l’ipotesi di restare qui più a lungo. Cosa che invece non ho riscontrato nei tanti francesi, tedeschi e nordeuropei incontrati, i quali vedono l’esperienza come un qualcosa di ben definito nel tempo prima di tornare in patria”.
Quanto alla possibilità di emergere in un ambiente così competitivo, Achille non vede affatto mal messi i laureati italiani, quanto a preparazione di base; tuttavia sottolinea alcune criticità del nostro sistema di studi: “Credo che l’università italiana sia in grado di mettere i laureati in una buona condizione di versatilità e di adattamento lavorativo, spendibile ovunque. Tuttavia resta bacata da diversi punti di vista: ad esempio, frequentare un corso di ‘Organizzazione del Cantiere’ e visitare un cantiere una sola volta in più di sei mesi di corso è quanto meno singolare”.
E il legame con la città natale? “Mi piace la dimensione della mia città” dice Achille “quando non mi soffoca nella sua stasi. Quello che mi manca vado speso a costruirmelo con l’Associazione Culturale Il Fondino, di cui faccio parte sin dalla sua nascita”.
Quindi un appello a valorizzare il dinamismo e le competenze della sua generazione: “Sarebbe bello che la città spingesse più sotto questo fronte, perché energia in giro ce n’è, eccome. Molta di questa viene da giovani che vanno a prendere boccate d’aria fresca altrove per poi cercare di riportare qualcosa di positivo (purtroppo non sempre recepito) nel luogo dove sono cresciuti”.
Una generazione che, nonostante il dramma economico e finanziario che viviamo, sa guardare in avanti con ottimismo: “Tengo sempre cara una conversazione con un amico architetto italiano conosciuto in Germania. Scherzando sulla crisi e su quanto però ci sia effettivamente troppo da fare per perdere tempo a lamentarsi, si arrivò a dire che il pessimismo è un lusso culturale che oggi non possiamo permetterci. Mi sento un privilegiato per quello che mi è stato dato e, Australia o altrove, io sposo questa idea”.