Il disarmo della “Pesaro”

All'inizio di luglio, mentre il territorio di Pietralunga era sotto il controllo della Brigata “San Faustino”, sui monti più a oriente la Brigata Garibaldi “Pesaro” si confrontò sulla scelta strategica da compiere. Fu dibattuta l'eventualità di accorpare i vari distaccamenti per muovere verso nord e – di concerto con gli Alleati – liberare Urbino, Fano e Pesaro e puntare contro la Linea Gotica. La “Pesaro” riteneva di avere forze adeguate per recitare un ruolo di primo piano sulla linea più avanzata del fronte. Quando però gli Alleati giunsero all'imbocco dell'Alta Valle del Tevere, sollecitarono il comando della “Pesaro” a portarsi più a sud, nella zona di Pietralunga, dove i tedeschi stavano ammassando truppe per farne una solida posizione difensiva. A quel punto la brigata garibaldina marchigiana – che si trovava presso Pianello, alle falde di Monte Nerone – rinunciò ai piani più ambiziosi e fece proprie le indicazioni alleate.

L'8 luglio un reparto della 10a divisione indiana con tre autoblinde stabilì finalmente il contatto con i partigiani della “San Faustino” a Pietralunga, che da circa un mese si era eretta a Territorio Libero. Lo stesso giorno si posizionò sulle alture a est del centro abitato anche un battaglione tedesco someggiato proveniente da Castelfranco. Ritenendo imminente l'attacco nemico, il comando britannico comunicò alla “Pesaro” di raggiungere al più presto la zona per contribuire alla difesa di Pietralunga.

Nel corso della notte dall'8 al 9 luglio, un reparto tedesco tentò un'incursione nel paese, ma fu respinto da una squadra della “San Faustino” e dagli indiani della 10a divisione, subendo due morti e tre feriti. Intanto la “Pesaro”, con una difficile e rischiosa marcia lungo un vallone, a poca distanza dalle posizioni tedesche, si attestava sul Monte delle Croci, a sud-ovest di Pietralunga, in posizione dominante sul centro abitato. Da lassù. assistette al bombardamento tedesco di Pietralunga. Alle ore 9.30 del 9 luglio una staffetta britannica comunicò al comando della “Pesaro”, rimasto in attesa di ordini da parte degli alleati, di non avvicinarsi a Pietralunga.

La Brigata “Pesaro”, dunque, su indicazione dei britannici assunse il controllo delle alture alla destra del torrente Carpinella, che scende verso Montone; da tali posizioni le sue pattuglie presero a esplorare il territorio circostante per passare agli Alleati informazioni sulla dislocazione e sulla consistenza dei reparti e delle bocche di fuoco dei tedeschi.

A trovarsi in mezzo alla bufera furono gli uomini della “San Faustino”. Quando gli anglo-indiani evacuarono Pietralunga per portarsi verso Carpini, i partigiani protessero la loro ritirata e tentarono di resistere all'offensiva germanica, che dal centro abitato si dispiegava verso le alture circostanti.

I partigiani della Brigata Garibaldi “Pesaro” per alcuni giorni rimasero in condizioni difficili a disposizione degli Alleati tra la valle del Carpinella e Umbertide. Il loro comando reiterò la richiesta di poter continuare a combattere fino alla Linea Gotica. Ma inutilmente. Anzi, il comandante Giuseppe Mari arrivò a definire “ostile” il contegno dei britannici, al punto di lasciarli “privi di ogni rifornimento alimentare durante lo stesso periodo in cui svolgevano attività militare agli ordini del comando di divisione inglese”. Eppure non si trattava di un atteggiamento snobistico o di una sottovalutazione della forza militare della brigata. Annotò Mari nel suo diario: “Gli inglesi dicono di essere in imbarazzo appunto per il fatto che non si erano trovati ancora, durante la loro avanzata in Italia, davanti ad una unità partigiana numerosa e organizzata come la nostra”. Si può dunque ritenere che il comportamento degli Alleati fu condizionato in modo determinante da valutazioni di carattere politico. Così come, nel nominare i primi amministratori delle città liberate, scelsero con cura personalità politicamente moderate, pragmatiche, non “contaminate” da idee comuniste e marxiste, allo stesso modo trattarono con cautela, e talora con sospetto, le formazioni partigiane nelle quali la sinistra era egemone o comunque fortemente rappresentata.

La scena del disarmo dei partigiani, il 15 luglio, è descritta da Giuseppe Mari: “Gli uomini consegnano le armi. È uno spettacolo triste che fa stringere il cuore. Nessuno, che non sia stato un partigiano, può capire che cosa significhi per noi tutti questo disarmo. L'arma, per il partigiano non è soltanto un mezzo, uno strumento di difesa e di offesa, è anche, e soprattutto, una compagna, o qualcosa di vivo come una parte del corpo”. Diversa fu la sorte del distaccamento "Montefeltro" della Brigata "Pesaro" – che si formò dietro le linee tedesche nel suo territorio di riferimento – e del battaglione "Stalingrado": i circa 160 slavi che lo componevano, con il comandante Brko ("Baffo"), ottennero di poter essere trasferiti in Jugoslavia per entrare nelle formazioni partigiane di Tito. Il 14 luglio, a Umbertide, si accomiatarono commossi dai compagni di lotta italiani.

 

Per il testo integrale, con le note e la fonte delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell'Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.