Il Comitato Clandestino di Soccorso

Di tanto in tanto Gabriotti si recava a Perugia per consultarsi con gli antifascisti. In quel periodo, come riferì agli amici tifernati, ebbe modo di incontrarvi anche Alcide De Gasperi e Mario Cingolani. Il 12 aprile vi andò con l’intento di stabilire un più efficace coordinamento politico e militare tra la resistenza armata altotiberina e il Comitato di Liberazione provinciale. Immaginava che nel capoluogo vi fosse un’organizzazione capace di dirigere la lotta, invece notò con amarezza che il movimento mancava di un’adeguata struttura di comando e di un apprezzabile livello di coordinamento. Proprio in quei giorni Stelio Pierangeli gli fece recapitare una lettera, chiedendo urgentemente armi e rifornimenti di ogni genere, persino indumenti. Gabriotti a quel punto ritenne necessario costituire prontamente a Città di Castello un comitato per raccogliere in breve tempo fondi ed equipaggiamento per i partigiani. Coinvolse per primo l’amico Amedeo Mastriforti, che ricorda: “Con l’abilità e la celerità sue proprie mi convinse ad avvertire delle persone notoriamente antifasciste, sicure, e a convocarle in una riunione segretissima per la costituzione di un comitato clandestino. Quando gli domandai dove volevamo riunirci, come sempre sorridendo mi rispose: ‘A casa tua, no?’ E in quel disarmante sorriso c’era tutto lui!”

Dopo un primo abboccamento in un locale nei pressi della cattedrale, il pomeriggio del 14 aprile Gabriotti e gli altri oppositori si recarono a casa di un trepidante Mastriforti. Cercarono di prendere ogni precauzione per non dare nell’occhio, giungendovi separatamente e da diverse direzioni. Erano Giuseppe Antoniucci e Giovanni Taffini, di idee comuniste, Teodorico e Cola Forconi, simpatizzanti socialisti, Ivo Carletti, del Partito d’Azione, Donino Donini, democratico cristiano, Giuseppe Segreto, repubblicano, e il giovane tenente Aldo Bologni.

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