Manifesto fascista contro il movimento partigiano.
Bando del 18 febbraio.

Il bando del 18 febbraio 1944

Un nuovo bando di arruolamento della RSI fu reso noto il 4 febbraio 1944. Chiamava alle armi nelle file dell’esercito gli appartenenti alle classi 1922-1923 e al primo quadrimestre del 1924; la scadenza per presentarsi era il 25 febbraio. Qualche giorno dopo si aggiunse la chiamata per la leva marittima della classe 1924.

Il bando preluse a un duro giro di vite per i disertori, per i renitenti e per i giovani delle classi 1923-1925 che avevano abbandonato il reparto dopo essersi presentati. Il 18 febbraio un manifesto a firma dello stesso Duce sancì per loro la pena della fucilazione nel petto, possibilmente sul luogo stesso della cattura o presso la loro abituale dimora; dette tre giorni di tempo per regolarizzare la posizione ai disertori e quindici ai renitenti. Il termine massimo di presentazione dei renitenti, in considerazione del ritardo con il quale la comunicazione era stata diffusa nel territorio, venne prorogato all’8 marzo e, per la provincia di Perugia, al 16 marzo. Le autorità fasciste non lasciarono nulla di intentato perché gli inadempienti fossero consapevoli del rischio che correvano, coinvolgendo capillarmente sia gli organismi amministrativi, sia quelli ecclesiastici. Il Capo della Provincia di Perugia dispose di rimettere in libertà quei congiunti di renitenti e disertori incarcerati per ritorsione, affinché svolgessero “efficace opera [di] persuasione” verso i loro giovani. Erano stati i tedeschi a suggerire l’arresto dei famigliari e la loro eventuale deportazione in caso di mancata presentazione dei precettati.

Di pari passo il regime strinse la morsa attorno alle famiglie, che vennero escluse dalla distribuzione delle nuove carte annonarie per il quadrimestre marzo-giugno 1944, da ogni forma di assistenza pubblica e dalle agevolazioni di carattere amministrativo, incluse le assunzioni di impieghi e il rilascio di licenze di esercizio. Inoltre fu sospeso lo stipendio ai genitori di disertori e renitenti impiegati presso enti pubblici e privati e si precettarono per il servizio di lavoro i loro genitori e fratelli. Quando poi, scaduto l’ultimatum, entrò in vigore la pena di morte, si considerarono “superflue” le restrizioni annonarie e le sanzioni amministrative a carico dei famigliari di quanti ormai rischiavano la fucilazione; restarono però per i congiunti dei renitenti alla chiamata per il servizio obbligatorio del lavoro.

In quel periodo tedeschi e fascisti tornarono ad intimare la consegna di ogni tipo di arma. Evidentemente erano consapevoli che le disposizioni precedenti non avevano sortito gli effetti sperati.

 

 

Per il testo integrale, con le note e le fonti delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.