Carta moneta in circolazione in Germania nel 1944.

Gli indennizzi

I sopravvissuti ai campi di concentramento e lavoro forzato in Germania e i familiari dei deceduti potevano richiedere un indennizzo compilando dei moduli predisposti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dal German Forced Labour Compensation Programme.
Si prevedevano due casi:
1) Detenzione in un campo di concentramento o altro posto di reclusione in condizioni paragonabili e abbia lavorato in condizioni di schiavitù. Per condizioni paragonabili si intendevano “condizioni disumane di prigionia, alimentazione insufficiente, mancanza di cure mediche”
2) Lavoro forzato e deportazione in Germania o in una zona da essa occupata, con assoggettamento a lavoro forzato e detenzione in condizioni di vita estremamente dure.
Secondo la Fondazione tedesca, i deportati a Kahla di Città di Castello e Umbertide non soddisfano i requisiti richiesti. Ecco la motivazione:
“Per avere titolo all’indennizzo per lavoro forzato, ai sensi della legge istitutiva della Fondazione tedesca, devono essere accertati la deportazione nel Reich tedesco o in aree da esso occupate, la costrizione al lavoro forzato in condizioni di vita estremamente dure o simili alla prigionia. Il rapporto esplicativo della suddetta legge prevede solamente che gli ex lavoratori forzati che sono stati sottoposti a particolari forme di discriminazione dal sistema legislativo nazista, come ad esempio gli ebrei, i sinti e i rom, ed i lavoratori forzati di origine slava, sono stati vittime delle suddette condizioni di vita estremamente dure. Gli ex lavoratori forzati dell’Europa occidentale, inclusi i civili italiani, non sono ammessi all’indennizzo ai sensi della legge istitutiva della Fondazione tedesca, perché non subirono specifiche discriminazioni in base a decreti o regolamenti ufficiali del regime nazista, e non furono quindi sottoposti alle condizioni di vita estremamente dure di cui alla suddetta legge. Le condizioni di vita estremamente dure provocate dalla guerra, come ad esempio raid aerei, penuria alimentare, sistemazioni misere e sovraffollate, condizioni di lavoro estreme e mal retribuite non sono di per sé sufficienti per l’indennizzo per lavoro forzato. Fanno eccezione a questa regola i lavoratori forzati dell’Europa occidentale deportati e detenuti in prigioni per motivi razziali, politici o similari, deportati in campi di educazione al lavoro (Arbeitserziehungslager), in campi di lavoro annessi alle fabbriche (Erziehungslager bei Firmen) o in campi di punizione (Straflager) riconosciuti dalla Fondazione tedesca. La sua domanda non soddisfa queste eccezioni”.
Non sono stati riconosciuti validi i requisiti nemmeno per il secondo caso: “Per avere titolo all’indennizzo per la categoria lavoro in condizioni di schiavitù deve essere accertata la deportazione in un campo di sterminio, un ghetto o altro luogo di detenzione riconosciuto dalla legge tedesca che ha istituito la Fondazione”.
I deportati in territorio austriaco potevano beneficiare del Fondo di Riconciliazione Austriaco. In una sua nota informativa, esso specificava: “A differenza del programma tedesco, l’indennizzo per le vittime del lavoro forzato svolto dall’IOM, il Fondo di Riconciliazione Austriaco eroga contributi agli ex lavoratori forzati civili, compresi i lavoratori civili italiani, purché abbiano svolto almeno parte del lavoro forzato su territorio facente attualmente parte dell’Austria”.

Il Fondo non prevedeva però “l’indennizzo alle persone deportate in qualità di prigionieri di guerra (incluso gli Internati Militari Italiani)”.