Lettera al sindaco di Eladio Pasqui.

Eladio Pasqui

Tra Ottocento e Novecento vi furono però scalpellini che godettero di larga fiducia. Uno di essi era Eladio Pasqui (1855-1934), che mise mano a diverse strade tifernati. Aveva un suo cantiere nell’odierna via Gramsci, il pomerio Sant’Antonio. Nel 1902 lo autorizzarono a tenervi in una stalla “un paio di bovi per il trasporto delle pietre dalle cave”. Qualche anno dopo i residenti reclamarono per l’eccessivo spazio che occupava. Quando il Comune gli intimò di rimuovere pietre e “capanno”, protestò vivacemente; fece presente che dava lavoro a 6 persone – “tre scalpellini, due aiutanti alla cava [e] l’uomo che conduce la bestia” – e che non era un privilegiato: “Quanto poi all’occupazione di aree pubbliche, tutti i miei colleghi, chi più chi meno, ne occupa tenendo forse il materiale meno ordinato del mio”.
Nel 1921 Pasqui avviò anche l’attività di marmista. Il Municipio ne approfittò per incrementargli la tassa di esercizio. Lui ci rimase male (“questa industria di marmi […] ancora non ha preso alcuno sviluppo”), ma i suoi rilievi non vennero accolti. Allora aveva bottega in via dei Lanari. Nel 1929, a 75 anni, cessò la vendita al minuto di marmi, sia per l’età avanzata, sia “per qualche incomodo alla salute”.

Gli estratti dal volume Artigianato e industria a Città di Castello tra ‘800 e ‘900 mancano delle note