Città di Castello alla fine dell”800

Con il trascorrere degli anni crebbe in Venanzio Gabriotti la consapevolezza che le sue radici penetrassero profondamente, fino a trovarvi linfa vitale, nelle piazze chiassose, nei vicoli angusti, nei muri screpolati della città natale. Percepì sempre più intensamente di appartenere a quel popolo dignitoso che, pur costretto da secoli ad una generalizzata povertà, conduceva una vita laboriosa e frugale, aggrappandosi agli affetti più intimi e scrollandosi di dosso ogni paralizzante cedimento alla disperazione.

Cresciuto in un ambiente di artigiani ed operai, vedeva nelle mani ruvide e callose degli adulti, nella loro stanchezza a tarda sera, i segni più evidenti di un destino di duro lavoro, sufficiente a mala pena a procurarsi il parco cibo per la famiglia, l’affitto di una casa vecchia e disadorna e pochi e modesti vestiti. Eppure si sentivano più benestanti e fortunati delle migliaia di contadini che popolavano la campagna altotiberina. La pelle scura e rinsecchita dal sole di costoro, la miseria del vestiario e i modi rozzi testimoniavano di una vita di stenti ben più gravosa; inoltre ne sancivano l’ineluttabile diversità le stigmate dell’ignoranza e dell’arretratezza sociale. Bastava vivere appena fuori le mura per non essere più considerati “cittadini”.

L’integro perimetro difensivo cinquecentesco abbracciava un borgo compatto, disposto sul piano alla sinistra del Tevere, e pareva isolarlo dalla campagna circostante. Nei giorni di fiera e di mercato, quando i contadini la inondavano, la città perdeva quell’aspetto di austero isolamento e riaffermava la sua centralità nella valle. Migliaia di capi di bestiame venivano posti in vendita nell’ampio piazzale presso il ponte sul Tevere. Lo scambio di prodotti tra città e campagna perpetuava una simbiosi secolare. In tali circostanze si scuoteva la sonnolenta routine del piccolo paese di provincia e le vie e le piazze brulicavano di gente scesa dai villaggi e dai poderi dell’Appennino, spesso da luoghi lontani ed impervi. Molti giungevano a dorso di un mulo e pernottavano insieme all’animale nei vicoli, in fondi adibiti a stalla. […]

 

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