Partigiani nella “San Faustino”.
Mario Moscatelli
Don Pompilio Mandrelli
Pietralunga
Lapide in memoria di Antonio Cancellieri.
Lapide in memoria di Germano Cancellieri

Battaglia di Pietralunga. Partigiani a fianco degli Alleati. Le vittime.

L’8 luglio un reparto della 10a divisione indiana con tre autoblinde stabilì finalmente il contatto con i partigiani della Brigata Proletaria d’Urto “San Faustino” a Pietralunga, che da circa un mese si era eretta a Territorio Libero. Lo stesso giorno si posizionò sulle alture a est del centro abitato anche un battaglione tedesco someggiato proveniente da Castelfranco. Ritenendo imminente l’attacco nemico, il comando britannico comunicò alla Brigata Garibaldi “Pesaro” di raggiungere al più presto la zona per contribuire alla difesa di Pietralunga.

Nel corso della notte dall’8 al 9 luglio, un reparto tedesco tentò un’incursione nel paese, ma fu respinto da una squadra della “San Faustino” e dagli indiani della 10a divisione, subendo due morti e tre feriti. Intanto la “Pesaro”, con una difficile e rischiosa marcia lungo un vallone, a poca distanza dalle posizioni tedesche, si attestava sul Monte delle Croci, a sud-ovest di Pietralunga, in posizione dominante sul centro abitato.

Il diario di Giuseppe Mari (“Carlo”), comandante del 2° battaglione della “Pesaro”, descrive nitidamente il bombardamento germanico su Pietralunga: “Ore 7.15. Un forte scoppio ci desta tutti. Guardiamo verso Pietralunga e vediamo presso la strada che conduce al paese una nuvoletta di fumo che a poco a poco si alza ampliandosi nell’aria immota e poi si dissolve. Si ode un altro scoppio e si vede un’altra nuvoletta di fumo dalla parte opposta della stessa strada e più vicina al paese. I tedeschi sparano su Pietralunga con i mortai. Improvvisamente si apre un coro di mitragliere, dal paese: sono certamente le armi delle autoblindo inglesi. I nostri uomini, accanto alle armi, sono pronti ma non vedono nulla. I tedeschi nel loro attacco si servono soltanto dei mortai, che sono defilati alla nostra vista. Con tutta la buona volontà, non possiamo far nulla. Il sole è già alto ed incendia i tetti rossi di Pietralunga. Alcune donne corrono laggiù da un campo verso il solco verde cupo d’un fosso. Raddoppia il numero delle nuvolette bianche intorno a Pietralunga”.

Due ore dopo l’assedio tedesco divenne più pressante: “Intanto il fuoco dei mortai tedeschi si intensifica e diventa sempre più preciso. Le case del paese vengono ripetutamente colpite. Gli inglesi non possono rispondere al tiro dei mortai tedeschi evidentemente perché non possono individuarne le posizioni”.

Alle ore 9.30 una staffetta britannica comunicò al comando della “Pesaro”, rimasto in attesa di ordini da parte degli alleati, di non avvicinarsi a Pietralunga: “Poco dopo vediamo le autoblindo inglesi uscire dal paese e sfilare lungo la strada sotto di noi. In quelle condizioni la difesa di Pietralunga era impossibile. La gente fugge pei campi e lungo le strade, piangendo. Gli inglesi caricano sulle autoblindo donne e bambini. Ci apprestiamo a ritirarci anche noi fino all’altezza delle nuove posizioni inglesi”.

La Brigata “Pesaro”, dunque, su indicazione dei britannici assunse il controllo delle alture alla destra del torrente Carpinella, che scende verso Montone; da tali posizioni le sue pattuglie presero a esplorare il territorio circostante per passare agli Alleati informazioni sulla dislocazione e sulla consistenza dei reparti e delle bocche di fuoco dei tedeschi.

A trovarsi in mezzo alla bufera furono gli uomini della “San Faustino”. Quando gli anglo-indiani evacuarono Pietralunga per portarsi verso Carpini, i partigiani protessero la loro ritirata e tentarono di resistere all’offensiva germanica, che dal centro abitato si dispiegava verso le alture circostanti. Nei giovani combattenti restarono vividi i ricordi di una battaglia che li vide a lungo in balia dell’impressionante fuoco dell’artiglieria e dei mortai nemici. Lido Lucchetti restò scioccato nello scorgere l’amico Luigi Martinelli sventrato da una scheggia; il corpo di un altro compagno, Genesio Polidori, sarebbe stato ritrovato solo successivamente, in un campo di granturco.

Per il coraggio esibito in quella battaglia furono proposti per una medaglia al valore militare il comandante della “San Faustino” Stelio Pierangeli e Livio Dalla Ragione, che capeggiava il gruppo di Montebello. Si legge nella relazione che riguarda Pierangeli: “[…] trovandosi a difesa di un caposaldo, unitamente ad elementi Alleati, dimostrava rara perizia di comando e di organizzatore. Ferito da una pallottola alla spina dorsale, per porre in salvo un suo dipendente, continuava la lotta fino a costringere il nemico a sgombrare il terreno, facendosi poi ricoverare in ospedale […]”. E in quella di Dalla Ragione: “[…] In Pietralunga assediata fu di esempio a tutti accorrendo ove più infuriava la lotta e ove la resistenza dei partigiani era messa più a dura prova dal volume di fuoco del nemico imbaldanzito dal successo iniziale […]”. Tuttavia contro la forza d’urto dei tedeschi non ci fu niente da fare. Anche i partigiani dovettero ritirarsi verso Carpini.

Il successo delle truppe germaniche ebbe risalto anche nelle cronache nazionali: “Pietralunga, che era stata occupata da forze britanniche, è stata riconquistata d’assalto dai granatieri germanici che hanno inflitto al nemico perdite elevate”.

Il comando alleato si congratulò con i combattenti italiani per il loro “ottimo contegno” in quella battaglia. La resistenza frapposta a Pietralunga dai partigiani indusse lo stesso comando germanico a sopravvalutarne la reale consistenza numerica, parlando di “una banda di italiani forte di 400 uomini”. Non è però da escludere che nel formulare tale stima i tedeschi abbiano sommariamente tenuto in considerazione anche i partigiani della “Pesaro”, di cui percepivano la presenza nei dintorni.

Certo è che nella battaglia di Pietralunga mancò il coordinamento tra la formazione marchigiana – che ebbe come unici referenti gli Alleati – e la “San Faustino”. Sebbene a ciò concorse lo sviluppo rapido e imprevedibile degli eventi, si riconfermava uno dei limiti della Resistenza interappenninica: la difficoltà a elaborare strategie comuni da parte di formazioni partigiane che operavano in territori limitrofi.

A seconda delle fonti, il giorno cruciale della battaglia è datato 9 luglio – come si suggerisce – o 10 luglio. Ma se per i partigiani il combattimento durò una giornata, per la popolazione di Pietralunga le tribolazioni si protrassero più a lungo. Gran parte della gente seguì gli Alleati in ritirata. Temeva ritorsioni germaniche per il palese appoggio di cui aveva goduto il movimento di Resistenza nella zona. Infatti la cinquantina di uomini che decisero di restare in paese vennero presi in ostaggio e sei di essi rischiarono l’immediata fucilazione su istigazione di un ex prigioniero tedesco dei partigiani. Si salvarono per un ulteriore pronto intervento del parroco don Pompilio Mandrelli, che si offrì al loro posto e, con tale gesto, indusse il capitano tedesco a recedere dal duro proposito.

Il 13 luglio, un reparto degli Skinner’s Horse entrò di nuovo in contatto con i tedeschi a Pietralunga. Dalla dura reazione germanica i britannici dedussero che la guarnigione attestata nel paese era stata rinforzata e avrebbe potuto essere sconfitta solo con un severo impegno militare. Cedere Pietralunga significava per i tedeschi mettere a repentaglio le loro posizioni a Gubbio e perdere il controllo sia della strada Città di Castello-Acqualagna, sia della Gubbio-Cagli-Acqualagna, snodi viari verso l’Adriatico per loro essenziali.

Da allora la situazione militare si placò a Pietralunga. Era giunto un nuovo comandante tedesco, Alois Karl, che lasciò intendere la possibilità di una tranquilla convivenza con la popolazione civile, qualora non vi fossero stati gesti ostili contro le sue truppe. In effetti vi fu un momento di grande tensione il 14 luglio, quando la popolazione corse il rischio di subire una rappresaglia. Il ferimento di un ufficiale della Wehrmacht da parte di un partigiano stava per sfociare nell’esecuzione di sei ostaggi e nella deportazione nei lager della Germania di tutti gli uomini rastrellati. Come scrisse l’arciprete don Pompilio Mandrelli, il provvedimento fu evitato per la “bontà davvero eccezionale” del tenente Alois Karl, che accolse le suppliche del sacerdote e del compaesano Santi Laurini e convinse i superiori a soprassedere. Né finì lì. Un altro sacerdote salvò all’ultimo momento un contadino i cui connotati corrispondevano a quelli del feritore dell’ufficiale. Raccontò Mandrelli: “L’intervento del parroco don Luigi Menghi, che incurante delle granate che piovono dappertutto si reca sul luogo dell’esecuzione, riesce a strappare anche questa vittima innocente alla morte”. Mandrelli e il tenente Karl l’indomani riuscirono pure a evitare la fucilazione di un giovane arrestato mentre incautamente rovistava, alla ricerca di cibo, fra le armi accatastate dietro la rocca di Pietralunga.

L’ottimo rapporto che l’ufficiale stabilì con Mandrelli e alcuni autorevoli personaggi del paese permise di superare senza ulteriori tragedia quel difficile momenti. Nei giorni che rimase a Pietralunga, Karl dimostrò una sensibilità rara in tempo di guerra, adoperandosi per evitare distruzioni al centro abitato, per impedire rappresaglie contro gente incolpevole, per fondare i rapporti umani sulla lealtà e sul reciproco rispetto. Per quanto ligio al dovere, non si accanì nella caccia ai partigiani: “Per me” – sono sue parole – “erano solo poveri ragazzi che erano fuggiti nella montagna per non diventare soldati italiani e neanche per essere spediti in Germania per lavorare”.

Intanto c’erano da seppellire le salme di quanti persero la vita in quelle convulse giornate: il segretario comunale Francesco Sette, colpito mentre tentava di sfuggire alla cattura e morto dissanguato; i partigiani Genesio Polidori, Luigi Martinelli, Germano Cancellieri (il corpo di suo fratello Ginetto sarebbe stato recuperato solo in seguito) ed Enrico, un disertore polacco che si era unito ai tifernati della “San Faustino”. Enrico “il polacchino” – così è passato alla storia – fu colpito da una scheggia di granata. Ricordavano i suoi compagni di lotta: “Dormiva in una scuola rurale, vicino a Pietralunga. Tornai e lo trovai morto. Fu un dolore immenso. Era come un fratello per me”; “Era piccolino, magro, un ragazzino; non aveva 18 anni. Simpatico, estroverso, parlava un po’ d’italiano e aveva legato bene con noi. Sulla gamba destra aveva i segni di una grave ferita”.

 

Partigiani caduti nella battaglia di Pietralunga

Cancellieri Antonio, detto “Ginetto”, di Erminio, nato a Pietralunga il 16 aprile 1919, residente presso il paese; bracciante, celibe; partigiano dal 1° febbraio 1944; caduto in combattimento il 9 luglio 1944 a Cima Sant’Anna (Pietralunga).

Cancellieri Germano, di Erminio, nato a Pietralunga il 10 settembre 1922, residente in voc. Otello; apprendista tipografo; partigiano dal 15 febbraio 1944; fucilato dai tedeschi a Fabbreccia il 9 luglio 1944.

Martinelli Luigi, di Francesco, nato a Pietralunga il 12 agosto 1923, residente nel paese; coltivatore, celibe; partigiano dal 10 gennaio 1944; caduto in combattimento il 9 luglio 1944 a Pietralunga.

Moscatelli Mario, di Pasquale, nato a Pietralunga il 21 aprile 1928; studente; partigiano dal 1° giugno 1944; fucilato dai tedeschi l’8 luglio 1944 a Ripa (Pietralunga).

Polidori Genesio, di Attilio, nato a Pietralunga il 20 aprile 1914, residente a Castelguelfo; mezzadro,coniugato con Lina Giacchi; partigiano dal 10 maggio 1944; caduto in combattimento il 9 o 10 luglio 1944 a Pietralunga.

 

 Altri partigiani non residenti caduti in combattimento

Bellucci Luigi, di Giuseppe, nato il 23 marzo 1925 a Gubbio, dove risiedeva, caduto in combattimento il 7 luglio 1944 a Pietralunga; riconosciuto partigiano combattente dal 1° febbraio 1944.

Nulli Amedeo, di Nello, nato a Perugia il 16 dicembre 1922, residente a Pieve di Campo (Perugia), caduto in combattimento il 9 luglio 1944 in loc. Pesena (Pietralunga); riconosciuto partigiano combattente dal 7 dicembre 1943.

Venturini Gildo, di Balilla, nato ad Arcala (Salerno) il 20 febbraio 1903, caduto in combattimento il 9 luglio 1944 in loc. Pesena (Pietralunga).

 

Civile deceduto all’epoca della battaglia di Pietralunga

Sette Francesco, di Berardino, nato il 29 novembre 1905 a Pizzoli (L’Aquila), residente a Pietralunga, segretario comunale, coniugato con Clara Gentile, ucciso dai tedeschi il 10 luglio 1944 a Pietralunga mentre tentava di sfuggire al rastrellamento. La Commissione Regionale per il Riconoscimento dei Partigiani dell’Umbria lo qualificò impropriamente come “partigiano combattente caduto”, invece che come “caduto per la lotta di Liberazione”.

 

Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.