Pietralunga: la piazza centrale.
La chiesa di Morena minata dai tedeschi nel rastrellamento antipartigiano del maggio 1944.

Primo Maggio a Pietralunga

Il clima diventò sempre più teso. Si venne a sapere che le autorità, approssimandosi il Primo Maggio e temendo qualche manifestazione antifascista per la Festa dei Lavoratori, avevano in mente l’arresto preventivo di alcuni oppositori. Gabriotti e Bologni lasciarono precauzionalmente la città e raggiunsero la “S. Faustino”. Il pomeriggio di domenica 30 aprile si intrattennero con Stelio Pierangeli al comando della Brigata e scelsero anche i propri nomi di battaglia, “Vitellozzo” per Gabriotti e “Visconti” per Bologni. Poi concordarono un messaggio di plauso per la banda di Montebello, costituita quasi esclusivamente di tifernati, additandola a modello per il coraggio e l’efficacia delle sue azioni di guerriglia. Sull’imbrunire si diressero proprio a Montebello, distribuendo ai giovani concittadini tintura di iodio e scarpe. Poi Gabriotti si accomodò a dormire sulla paglia con tutti gli altri.
Il sonno fu brevissimo. Poco prima della mezzanotte il rumore di un aereo che volteggiava a bassa quota fece capire che gli Alleati erano finalmente pronti a sganciare i tanto attesi rifornimenti. L’aereo effettuò tre giri sopra una delle basi della Brigata, a Morena, dove il prete partigiano don Marino Ceccarelli e alcuni giovani, preavvertiti dai messaggi radio “Abbi fede” e “Mercoledì è bello”, avevano acceso un falò. Si trattava del segnale convenuto per indicare il luogo sul quale lanciare i paracaduti. Di lì a poco piovvero dal cielo una ventina di pacchi con armi ed equipaggiamento. Gabriotti corse subito a Morena con i giovani di Montebello per recuperare il materiale. Don Marino se lo vide comparire d’un tratto davanti “piangente per la gioia e ridotto in misere condizioni per il molto fango”. In quella notte esaltante, Gabriotti lasciò libero sfogo alle emozioni, partecipando alle scene di giubilo descritte dal sacerdote: “Si gridava dalla pazza gioia, o, meglio, si piangeva tutti insieme, mentre in tutta fretta con le bestie portavamo tutto in casa”.
Per la Brigata “S. Faustino” e la gente di Pietralunga quel Primo Maggio fu un evento eccezionale. Festeggiarono in paese, poi si recarono in corteo a Morena, nel frattempo addobbata con la tela dei paracaduti alleati. Gabriotti rimase ospite dell’arciprete di Pietralunga, don Pompilio Mandrelli, e fraternizzò con i combattenti alla macchia. Ormai lo conoscevano tutti. Poté rendersi conto che la propaganda dei partiti della sinistra stava facendo breccia tra i partigiani, così che disse scherzosamente in giro d’esser venuto a “portare un po’ di tricolore in mezzo a tanto rosso”. L’indomani volle tornare a Città di Castello, inutilmente dissuaso da don Pompilio. Siccome Stelio Pierangeli gli aveva chiesto di mettersi in contatto al più presto con gli alleati per programmare altri aviolanci, intendeva svolgere la missione senza alcun indugio.
L’estratto manca delle note presenti nel testo Venanzio Gabriotti e il suo tempo (Petruzzi Editore, 1993).