Giuseppe Baldeschi

Una battaglia a Marghera

In una lettera del 10 luglio Baldeschi descrisse vividamente una battaglia sotto il forte di Marghera che vide impegnati numerosi tifernati:
“Ieri fu una giornata che può dirsi gloriosa per i volontarj di Castello, perché io, alla testa dei medesimi, uniti ad un’altra frazione di compagnia, facessimo sì che il nemico non si avanzasse sotto il tiro del cannone per dare un assalto al forte. Verso le 2 dopo mezzogiorno incominciarono ad avanzarsi i nemici, fu gridato all’arme, si cominciò a far fuoco dai cannonieri, e gridarono: chi ha più coraggio sorta dal forte a respingere il nemico. Misi immediatamente la Compagnia sotto le armi, e via; in un batter d’occhio arrivassimo dove era il nemico, che stava appiattato fra i ruderi di una casa bruciata e devastata dal cannone. Io, come vi ho detto, ero alla testa della Compagnia […] e di un’altra frazione di Compagnia; incominciarono a cantare i nostri, la solita canzone: ‘Tre colori, tre colori l’Italia cantando va; sol cantano i tre colori, il fucil s’imposterà’. Fuoco, fuoco, fuoco, si ha da vincere o morire, e lì fuoco per circa mezz’ora, poi a forza di baionetta si snidarono di lì; notate bene, eravamo circa 600. I nemici s’imboscarono; noi, protetti dal cannone, l’inseguissimo e si sostenne il fuoco per 5 ore buone; i Castellani erano tanti leoni, lograrono [consumarono] loro soli, pel conto che ho potuto fare, perché ci riportarono le munizioni quattro volte, circa 1500 cartuccie; se un momento abbandonavano il loro posto, perché respinti, io ritornavo là solo sul posto abbandonato, e tutti ritornavano lì; per me fu una soddisfazione tanto grande, che ci avrei pianto dalla consolazione. Uno solo ne rimase ferito dei Castellani, ed è un certo Biondini Domenico, ferito sul braccio sinistro, ma con poco momento (questo è passato caporale); fu ferito mentre che io l’istigavo a salire un greppo per avanzarsi, e siccome buttò subito il suo fucile e mi venne addosso, rotolassimo in certo modo pel greppo istesso, cosicché gli altri crederono che io fossi rimasto o morto o ferito; medicai a questo alla meglio la sua ferita, glie la legai col fazzoletto, lo consegnai all’ambulanza, poi ritornai coi miei, i quali, rivedendomi, mi si gettarono al collo dandomi dei baci, per la ragione che mi credevano ferito, e così ripresero nuovo coraggio. Dei nostri si contano 4 morti e circa 20 feriti; dei Tedeschi si può assicurare che ne siano rimasti oltre 70 o 80, perché il cannone li danneggiò per la più parte”.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).