L’impero danubiano, assediato e spossato, finì con il mancare delle risorse umane per rimpiazzare prontamente le vittime del sanguinoso stillicidio e per far riposare gli esausti sopravvissuti di anni di guerra di trincea; inoltre scarseggiavano viveri, materiale bellico, nuove tecnologie militari, persino il carburante per far giungere i rifornimenti in prima linea.
Heinz von Lichem spiega proprio con gli stenti dei soldati e con il progressivo esaurimento degli approvvigionamenti il cedimento austro-ungarico: “Perciò la vita quotidiana delle i. r. [imperial-regie] armate del Piave divenne sempre più catastrofica. Nei capisaldi i soldati si ammassavano in misere baracche di legno; ricoveri in calcestruzzo a prova di bomba erano una rarità. Le trincee lungo il fiume si riempivano d’acqua, che talvolta arrivava fino alla cintola dei combattenti, e nella quale si putrefacevano i cadaveri dei caduti. Nella seconda metà del 1918 la razione quotidiana consisteva in 500 grammi di un ‘pane’ con una buona percentuale di segatura o paglia; le malattie infettive dilagavano, diradando ulteriormente i reparti. Nelle ultime settimane di guerra, a diverse centinaia di colpi sparati dall’artiglieria italiana i cannoni austriaci rispondevano si e no con dieci colpi”.
Alcune lettere di soldati altotiberini offrono testimonianze dello sfinimento delle truppe austro-ungariche. Scrisse Giuseppe Rossi a giugno: “Ho veduto parecchi prigionieri, e benché fossero delle classi 1897 e 1898, pure sembravano vecchi cadenti. Al mio raggruppamento ne giunsero, accompagnati dai nostri bravi fanti, un paio di cento, e lì gli furono distribuiti i viveri, consistenti in una pagnotta ed una scatola di carne in conserva. Descrivere ciò che successe quando videro il nostro pane bianco, non è cosa facile. Sembravano dei lupi affamati. Qualcuno conservava qualche pezzetto del loro pane, ed io e i miei compagni, avendolo loro gettato via, lo raccogliemmo. È una miscela di robba indefinibile, nero, anzi più che nero color marrone scuro, sembra fatto con la segatura di castagno! Quasi tutti sono vestiti con i panni della nostra fanteria, ad eccezione del berretto che è austriaco. Quei panni chissà in quale nostro magazzino furono presi da quei signori, nell’ottobre dello scorso anno?”.
Renato Bendini raccontò di alcuni fuggiaschi nemici: “Tutti i giorni vengono dei disertori austriaci da noi, e fanno pietà. Sono in uno stato davvero compassionevole, con gli abiti a brandelli, scarpe che non paiono tali, senza giacca, con un solo cappotto bleu lurido e stracciato, smunti, la barba incolta, ed affamati. Come giungono chiedono pane, pane ed acqua. Ed è piacevolissimo vederli mangiare. […] Gli si domanda la ragione per cui disertano e rispondono per la fame e le legnate. Ieri guardavo la differenza che passava fra noi e uno di loro. Noi sebbene in trincea, sembra d’essere a riposo, puliti gli abiti, scarpe ecc. e sembriamo davvero dei soldati usciti dal deposito; loro invece proprio non si sa se sono soldati o straccioni borghesi. Ci raccontava (ed è la verità) che non gli danno né carne né riso, né patate, niente fagioli; solamente (come lui diceva) zupà e acqua sporca, questo il loro pranzo. Alla sera un po’ di acqua nera che chiamano thè. Quello dice che ne hanno una buona tazza. Niente più birra. Era un poveraccio di 53 anni, che da 5 anni fa il soldato sempre in linea, ed in tanto tempo non ha avuto mai licenza, e lui visto e considerato, ha preferito venire in Italia, dove almeno ‘essere sicura vita’. Essi stessi ci dicono di resistere, perché l’Austria non avrà più lunga vita. Sono stanchi, ma se lo manifestano c’è la fucilazione o la forca. Non esistono tribunali là”.
Tra combattenti che avevano condiviso gli stenti della trincea, finì con il prevalere il rispetto e la pietà. Si legge nella lettera del maresciallo Marco Marchetti: “Solo voglio dire che la compassione per i prigionieri da noi fatti, è infinita: poverini! erano affamati, sfiniti, non più capaci di camminare. Per quanto mi siano stati nemici per più di tre anni, tanto, dico la verità, sono stato diversi giorni con la sola metà della pagnotta, per darne l’altra a questi disgraziati”.
Le fotografie nel sito, se non dell’autore, provengono per lo più dalla Fototeca Tifernate On Line.
Si chiede a quanti attingeranno informazioni e documentazione di citare correttamente la fonte.