La squadra d’azione “Mussolini” in piazza Garibaldi a Città di Castello.

Squadrismo fascista

Fino al marzo 1921 i fascisti altotiberini non uscirono allo scoperto. Il terreno era comunque fecondo per un vasto ed efficace movimento di reazione: gli ambienti più conservatori del mondo agrario attendevano l’occasione propizia per recuperare i privilegi economici e politici perduti in seguito alle agitazioni contadine; la piccola borghesia e il ceto medio vivevano i successi elettorali socialisti e la crescente conflittualità sindacale come un progressivo sprofondare nell’abisso della rivoluzione; ampi settori del ceto medio, disorientati per il dilagare della crisi sociale ed economica, chiedevano il ripristino dell'”ordine” e consideravano le amministrazioni locali prive di autorevolezza e di efficienza; infine, numerosi ex-combattenti covavano un sordo malcontento per il difficile reinserimento postbellico in una società squilibrata e disgregata, dove le forze di ispirazione marxista indugiavano in una propaganda antimilitarista che sembrava svuotare di significato il loro sacrificio in guerra. Queste condizioni favorevoli stavano spronando i simpatizzanti fascisti ad organizzarsi, ma i tempi apparivano ancora prematuri per passare all’azione.

Il dilagare della violenza politica in altre zone d’Italia spinse i socialisti a lanciare allarmati appelli sin dal dicembre del 1920. Con il passar delle settimane il propagarsi delle incursioni fasciste si fece ancor più minaccioso.

D’improvviso il pericolo divenne palpabile anche a Città di Castello. Domenica 6 marzo i cittadini trovarono i muri tappezzati di manifesti rossi: annunciavano la costituzione del Fascio e attaccavano duramente i socialisti. L’indomani una folta assemblea di operai e contadini alla Camera del Lavoro sancì un patto di alleanza tra tutte le organizzazioni della sinistra contro il comune nemico.

Ma la spirale di violenza stava per avvolgere l’Umbria.

[…]
Il resto del testo è nell’allegato.