Ricevuta della sarta Marianna Cardacchi.
Vestiario di inizio '900 in vendita in uno dei principali negozi tifernati.
L'attività del cucito in famiglia.

Sartorie ottocentesche

Ne 1851 le autorità municipali di Città di Castello individuarono 13 sarti come potenziali contribuenti. Ma uno di essi era vecchio e gravemente malato; altri quattro apparivano in condizione “malagevole […] per la mancanza del lavoro anche in ordine alla poca loro abilità, ed avventori”. Le botteghe con maggior giro di affari erano quelle di Guido Burchi e Geremia Guerrieri, per i quali venne proposta un’ipotesi di tassazione di sc. 1,50 annuali. Si sottolineava comunque la precarietà del settore: “[…] d’ordinario manca alli sartori il lavoro, e però non possono ritenersi che come giornalieri, e di guadagno incerto”.
Qualche notizia sulla consistenza delle botteghe la si ricava dal memoriale redatto nel 1846 per l’allontanamento dei gesuiti. Lo sottoscrissero anche i sarti Pietro Landini e Guido Burchi, che dichiararono di occupare, rispettivamente, quattro lavoranti e nove garzoni. Quanto alle retribuzioni, nel 1850 il comandante della guarnigione austriaca richiese vestiario per le due compagnie di soldati di stanza in città e concordò con Gaetano Manfucci, portavoce di alcuni sarti disponibili, “la mercede [giornaliera] di baj. 24, compreso l’importo del refe da cucire a loro carico”.
La documentazione d’archivio mostra che alla metà dell’Ottocento operavano altri sarti oltre a Manfucci e a quelli censiti nel Rollo de’ Contribuenti. Facevano tale mestiere anche il “cameriere” municipale GioBatta Cardacchi e il “trombetta” Antonio Guazzini, incaricati nel 1847 di eseguire, con panno turchino, “le livree giornaliere dei donzelli del Comune”. Negli anni successivi Cardacchi avrebbe fabbricato anche i cappotti dei volontari tifernati in partenza per le battaglie risorgimentali, “due ferrajuoli per il cantoniere e maestro di casa e tre mantelli, o Rocolò per li donzelli comunali”.
Il censimento del 1881 quantificò in ben 174 i sarti attivi nel comune, 68 dei quali padroni di bottega e 106 lavoranti a giornata; tra costoro, le donne ammontavano rispettivamente a 44 e 83. Si contavano inoltre 70 cucitrici, 14 orlatrici, 3 ricamatrici e 8 stiratrici. Dei sarti esistenti alla metà dell’Ottocento continuavano a operare – e lo avrebbero fatto ancora per alcuni anni – Riccardo Romitelli e Pietro Landini, i cui nomi compaiono nelle liste elettorali della Camera di Commercio.
Intanto emergeva una nuova generazione di artigiani. Documenti municipali di fine secolo indicano esplicitamente quali fossero le sartorie più importanti in città: appartenevano a Gaetano Margni, Augusto e Roberto Gabriotti, Giuseppe Guidobaldi, Francesco Blasi, Eugenio Rosi, Ferdinando Baldacci, Vincenzo Bartolucci ed Egisto Pedoni.
Della sartoria “Francesco Blasi & Figlio” si conserva un’inserzione pubblicitaria: “Si eseguiscono lavori confezionati in qualsiasi figurino, con la massima sollecitudine e perfetta esecuzione tanto per civili, militari ed ecclesiastici. Si ricevono commissioni con pagamenti a rate settimanali e mensili. Prezzi mitissimi. Si danno lezioni di taglio”.
In quello stesso periodo Egisto Pedoni, titolare pure di un affermato negozio di “drapperia”, avvertiva la clientela tifernate di confezionare “abiti, pelliccie, paletôt ed altro sopra misura per uomo, signora, bambini ed ecclesiastici” e assicurava: “Lavoro accuratissimo eseguito da abili operai, a seconda dei sistemi i più perfezionati che si usano nelle primarie sartorie. A garanzia degli avventori i pagamenti verranno fatti solo dopo riconosciuta l’esattezza del taglio e confezione dell’abito”. Il negozio-sartoria di Egisto Pedoni, a palazzo Cappelletti, dava su “piazza di sopra”, alla sinistra del vicoletto che porta a via Borgo di Sotto; vi si trasferì nel 1897, quando cessò il Caffè del Commercio. In precedenza Pedoni occupava dei locali di palazzo Alippi, all’angolo tra corso Vittorio Emanuele e “piazza di sopra”. Egisto portò avanti l’attività del padre Fortebraccio ed ebbe come continuatore il figlio Emilio. La Primaria Sartoria Pedoni godeva di grande prestigio in città; teneva tessuti di qualità e serviva gli uomini della “Castello bene”. Vi impararono il mestiere molti sarti tifernati.