Cartolina postale celebrativa del Governo Provvisorio che resse Perugia durante l’insurrezione del giugno 1859.
La repressione a Perugia in una stampa ottocentesca.
Monumento a ricordo delle vittime della repressione del moto insurrezionale di Perugia; disegno pubblicato nel numero unico “XX Giugno. Cinquantesimo anniversario della Strage di Perugia 1859-1909”.

Perugia: 20 giugno 1859

Vittima tragica e illustre della controffensiva papale per continuare a imporre la sovranità pontificia sul proprio territorio fu dunque Perugia. Sguarnita anch’essa di uomini in grado di combattere, in seguito alla partenza di numerosi suoi volontari per il fronte della seconda guerra di indipendenza, tentò di resistere eroicamente all’assalto delle truppe del colonnello Antonio Schmid. Ma i difensori della città non riuscirono ad arginare l’assalto. Seguì una squallida sequenza di saccheggi e di assassini di cui si rese colpevole una soldataglia, per lo più svizzera, non tenuta a freno dal suo comandante. Con quella rappresaglia si volle impartire una dura ed esemplare lezione sia ai rivoltosi perugini, sia a quanti, altrove, coltivavano la speranza di ribellarsi al governo di Roma. Il 21 giugno Schmid fece affiggere un proclama con il quale, nel ripristinare il “legittimo pontificio governo”, dichiarava che avrebbe voluto evitare ogni violenza, ma che era stata la resistenza dei perugini a costringere i suoi soldati “al loro penoso quanto imperioso dovere”. Quindi un minaccioso avvertimento: “Perugini, rispettate le leggi, ed io rispondo della disciplina delle mie truppe”. Quattro giorni dopo l’“Osservatore del Trasimeno” scriveva: “Il Santo Padre, onde manifestare la somma sua soddisfazione al menzionato Colonnello, si è degnata promuoverlo al grado di Generale di Brigata, ed in attenzione di speciali rapporti, onde premiare quelli che si sono maggiormente distinti, ha ordinato che si facessero i dovuti elogi alla truppa, che prese parte a questo fatto, e che così bene si distinse”.
Testimone dei fatti perugini fu anche il tifernate Filippo Fantini. Studente ventunenne nel capoluogo, si offrì volontario per la difesa della città: “Presi parte al combattimento al Frontone, fazione impreparata e luogo indifeso; per tre ore si mantenne il fuoco; ma, sopraffatti dal numero stragrande dei soldati svizzeri giunti da Foligno, con la cavalleria dei gendarmi alla testa, fummo costretti a ritirarci, e poi inviati di rinforzo a Porta Nuova”.
Durante il saccheggio, Fantini venne arrestato dai carabinieri e incarcerato, ma rilasciato dopo alcuni giorni. Tornato a Città di Castello, dovette allontanarsene per sottrarsi alle persecuzioni. Si parlò in effetti di “vessazioni ed emigrazioni” avvenute in città dopo il giugno 1859.
L’evento che passò alla storia come “le stragi di Perugia” ebbe vasta eco anche all’estero. Per il suo sacrificio, il capoluogo umbro sarebbe poi stato insignito dell’onorificenza di città “benemerita del Risorgimento nazionale”.
Pochi giorni dopo la caduta di Perugia si concludevano le operazioni militari della seconda guerra di indipendenza. Napoleone III non volle continuare le ostilità e concordò un armistizio con l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, deludendo le attese di quanti speravano in una decisiva sconfitta dell’Austria.
L’articolo è un estratto, privo delle note che corredano il testo di Alvaro Tacchini nel volume: Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).